Aprendo L’analfabeta bastano poche righe e subito siamo in una dimensione altra, una dimensione fatta di sensi che si accavallano e contaminano, in un’infanzia fatta di odori, colori e sapori piccoli, domestici, intimi:
L’aula di mio padre sa di gesso, di inchiostro, di carta, di quiete, di silenzio, di neve, anche in estate. La grande cucina di mia madre sa di bestia macellata, di carne bollita, di latte, di marmellata, di pane, di biancheria umida, di pipì dell’ultimo nato, di fermento, di rumori, di calore estivo, anche in inverno.
Ma soprattutto è un libro sulle parole, un racconto autobiografico sulle parole della piccola Agota, che fin da bambina legge e legge, racconta storie da lei inventate al fratello più piccolo e ancora legge: “Leggo. È una malattia. Leggo tutto ciò che mi capita sottomano, sotto gli occhi”. Legge per il nonno che orgogliosamente la fa esibire davanti ai vicini “E io leggo. Correttamente, senza errori, alla velocità che vogliono loro”. Continua a leggere