Ho cominciato a leggere i primi capitoli dell’Ickabog di J.K. Rowling la scorsa primavera, quando è stato pubblicato online durante il confinamento dovuto alla pandemia per poi continuare con il libro in edizione cartacea (Salani Editore, traduzione di Valentina Daniele), sicura che avrei ritrovato lo stesso senso di magia che mi aveva accompagnata tra le pagine di Harry Potter, la saga che l’ha resa celebre. Tuttavia, le mie aspettative fantasy sono state disattese dall’incontro con ambientazioni e personaggi realistici che mi hanno ricordato le storie che preferivo da bambina come, per esempio, “La piccola principessa” o “Senza famiglia”.
Nonostante l’iniziale delusione, la scorrevolezza della lettura ha reso facile entrare nei mondi dentro il mondo di Cornucopia e immaginare la terre ricche di Chouxville, Montecaglio, Jeroboam ma anche quella stranamente povera e oscura di “Le Paludi” con i suoi funghi poco saporiti, le pecore deperite per l’erba rinsecchita e gli abitanti semplici e miseri. Ma proprio da questa modesta estremità settentrionale del regno, arriva la leggenda che tutti conoscono, quella dell’Ickabog, l’”uomo nero” usato per spaventare bambini e adulti. Una volta dato il nome a una cosa, questa diventa viva e reale e prende forma nella fantasia di ciascuno. Continua a leggere