Gli orologi appartengono a quella categoria di oggetti dotati di un’intrinseca carica poetica. Il fascino che ne deriva ha a che fare con l’esigenza connaturata all’essere umano di misurare il tempo, il proprio tempo.
Non è difficile, allora, capire come il furto dell’orologio di una stazione di paese possa diventare il perno narrativo intorno al quale ruota una vicenda dalle conseguenze tragicomiche.
Sì, qualcuno aveva rubato l’orologio della stazione ferroviaria. Quello appeso sulla parete del primo binario. L’unico, antico e amatissimo orologio di quella stazione era stato sottratto in circostanze misteriose. Al suo posto era rimasto il vuoto.
Tanti minuscoli destini toccati da un solo evento. Lo sguardo attonito di una bambina che per prima si accorge della scomparsa, i comitati della signora Piccionetti, le inutili indagini di un superstizioso Maresciallo, le ambiguità di un meccanico che “sognava di diventare sindaco, anche se non aveva mai ben capito il meccanismo per farsi eleggere”, ne sono un chiaro esempio.
Come bambini capricciosi, gli abitanti del paese fanno a gara per spartirsi la luce dei riflettori, mentre le considerazioni più profonde si consumano nella mente o attraverso la penna di personaggi che se ne stanno acquattati. Tra questi il narratore, proprio lui, il misterioso ladro: un maestro delle “sparizioni provvidenziali”, del furto di cose vecchie in procinto di essere sostituite, un catalizzatore del cambiamento.
Il suo appartamento, colmo di oggetti rubati contribuisce a creare un’atmosfera onirica. Una cabina telefonica che squilla e l’orologio le cui lancette si muovono al contrario fanno da sfondo alle azioni di personaggi che si muovono come ingranaggi impazziti.
L’ironia si fa mezzo per denunciare la solitudine, che nel personaggio della stravagante “tipa delle pulizie” trova una perfetta rappresentazione.
Non c’era nessuno. Lei immaginava tutto. Immaginava feste, spettacoli e balletti. Lei giocava come le bambine, organizzava eventi per persone invisibili.
I personaggi-macchietta di Mario Borghi richiamano alla mente dei lettori cinefili i protagonisti dei film di Gondry e di Jeunet: buffi, nevrotici, malati di egocentrismo provinciale…
Lo “psicodramma burocratico” al quale questo episodio dà vita ne smaschera manie e segreti.
La narrazione procede facendo zoomout: dai fatti più grossolani la cui portata viene ingrandita si giunge a riflessioni cosmiche, affidate a un delinquente con la passione per la filosofia. Perché in questa storia spetta ai cattivi “far funzionare il mondo […], dare un senso al bene”.
Tutto esiste per bilanciare il proprio esatto contrario, altrimenti saremmo come un raggio di luce nello spazio, che non illumina finché non trova un qualcosa contro cui sbattere. Basta anche un piccolo granello di polvere. Ogni cosa si esplicita solo per opporsi. L’assoluto non esiste.
Con gli occhi socchiusi, tra lo sforzo di capire dove l’autore voglia condurlo e il sorriso che di tanto in tanto gli strappa, il lettore annaspa, vuole raggiungere la fine per vedere dove approderà.
Il repentino cambio di registro, tra le ingenuità dell’uomo della strada, i versi e le considerazioni pseudofilosofiche, può risultare all’inizio poco convincente, ma alla fine ciò che si apprezza è proprio la contrapposizione tra personaggi-maschera e personaggi più complessi, tutti però compresi sotto lo stesso cielo nel “boom” finale.
Le cose dell’orologio
Mario Borghi
Editore non disponibile
febbraio 2016
Pagine 112
Disponibile anche in eBook
Interessante!
L’editore non risulta disponibile perchè si tratta di una casa editrice a pagamento. Ho avuto a che fare con Mario Borghi sui social, e mi è sembrato una persona violenta, che mi ha accolto su una conversazione pubblica con attacchi personali, completamente gratuiti dato che non ci conosciamo. Non so dire se una persona così molesta sia anche uno scrittore.