Con “La vita è uno schifo” Léo Malet sconfina dal romanzo giallo/poliziesco per inoltrarsi in un terreno ancora inesplorato che sfocerà in un nuovo genere definito noir. Il romanzo racconta la storia di Jean Fraiger, un anarchico che, assieme ad altri collaboratori, cerca di finanziare un progetto rivoluzionario mediante una serie rapine; se tali rapine in una fase iniziale hanno i connotati di espropri proletari, con il passare del tempo diventano semplici modi per un arricchimento personale da parte del protagonista, in particolare dopo che un gruppo di scioperanti si è rifiutato di utilizzare il denaro ottenuto illecitamente per finanziare ulteriori azioni di lotta operaia. Il protagonista comincia così ad accumulare soldi al solo scopo di conquistare Gloria, una donna già sposata di cui si è innamorato. Per un momento pare che proprio la donna potrà essere la chiave di volta per la risoluzione di quel puzzle disordinato che è la vita di Jean, ma, come ben spiega Luigi Bernardi nella Prefazione, nel noir nessun mosaico, in realtà, viene mai ricomposto. Proprio nelle pagine che precedono l’opera si possono trovare infatti delle interessanti considerazioni su questo genere letterario di cui Malet è considerato capostipite: il noir viene descritto come un romanzo psicologico costruito attorno alla figura di una vittima e fino a qui nulla lo distingue da altri generi letterari a esso contigui, con cui spesso, non a caso, lo si confonde; tuttavia, a differenza di quanto avviene nei romanzi gialli o polizieschi, per esempio, nel noir non c’è alcun ordine da ricomporre: “non si torna mai al punto di partenza, l’ordine è un continuo frantumarsi in schegge impazzite di cui si perde il conto e la sostanza”. Per questa ragione il noir non ammette lieto fine: tutt’al più prevede un parziale riscatto da parte della vittima, ma spesso è comunque un riscatto che non ripristina lo status quo e, ancor più spesso, il male viene contrastato non attraverso il ben
e bensì attraverso un male peggiore. In questo senso, “nel romanzo poliziesco il male è un accidente, nel noir una costante”. Ne “la vita è uno schifo” ciò appare chiaro dalle prime pagine:
Giaceva a gambe aperte su un mucchio di carbone, con il suo povero vestitino, il suo povero vestitino da povera e il ventre ancora vergine penetrato da un seme mortale, caldo e tagliente, lanciato da sudici figuri gonfi d’alcol. Aveva dieci anni. Mi sarebbe piaciuto avere dieci anni. La vita era uno schifo. La conferma veniva quotidianamente. Non so perché mai mi sarebbe piaciuto avere dieci anni. Un immenso desiderio di avere dieci anni. La vita era uno schifo, era un ignobile e spaventoso ingranaggio, e noi tutti contribuivamo a perpetuarne la merda. I soldati erano schifosi, e noi pure. Maiali sanguinari da una parte e dall’altra. Mi salì dalle budella un’insopprimibile voglia di movitare e balzai giù dall’auto, con la rivoltella in pugno e con un ghigno suscettibile di provocare d’un colpo solo l’aborto di un esercito di donne gravide.
E fino all’ultimo punto dell’ultima pagina Malet rimane perfettamente aderente al genere che ha inaugurato.
LA VITA È UNO SCHIFO
Léo Malet
A cura di Luigi Bernardi
Fazi
pp. 183
Euro 12