Si parla tanto, con maggiore o minore cognizione di causa, di editoria, dello stato di salute dell’editoria italiana, del grande numero delle case editrici medie, medio-piccole e piccole, delle difficoltà di distribuzione e della scarsa visibilità in libreria dei libri pubblicati dalle piccole case editrici.
Si parla anche delle numerose librerie indipendenti che non riescono a resistere sul mercato e, una dopo l’altra, chiudono. Mi sembra interessante porre alcune domande ai soggetti direttamente interessati: oggi tocca ad Adele Costanzo, direttrice editoriale di Chipiuneart Edizioni, casa editrice romana che pubblica narrativa, teatro, poesie, saggistica, e a Elena Aielli, titolare di una libreria indipendente, sempre a Roma.
Domanda: Dai vostri differenti ma ‒ credo ‒ non distanti punti di osservazione, quale ritenete essere il principale ostacolo alla diffusione dei libri editi dalle piccole case editrici? In che modo la distribuzione gioca il ruolo determinante che le viene attribuito nell’opinione diffusa anche fra i non addetti ai lavori?
Risposta ADELE COSTANZO: I problemi sono molteplici e di diversa natura, ma sempre riconducibili alla scarsa disponibilità economica delle piccole aziende editoriali. La stampa in numero limitato di copie, cui si è costretti sia per la limitata capacità d’investimento sia per il prevedibile scarso impatto commerciale della proposta, fa sì che i libri prodotti non possano essere esposti se non in un numero esiguo di librerie indipendenti.
La mancata presenza tra gli scaffali preclude la possibilità di raggiungere un certo tipo di lettori, quelli più curiosi e meno prevenuti che amano aggirarsi nelle librerie e spulciare tra le proposte e che, magari, si lascerebbero attrarre da un libro insolito.
Un secondo problema riguarda la scarsa disponibilità delle librerie a accettare, sia pure in conto vendita e in esigue quantità, libri della piccola editoria. Ciò dipende in parte dal mercato, dalla domanda monopolizzata dai grandi editori e dagli autori importanti che essi propongono, ma anche dal fatto che la figura del libraio tradizionale sta sempre più scomparendo, sostituita dai dipendenti delle grandi catene che non possono svolgere, perché non preparati e privi di ogni libertà imprenditoriale, quel ruolo di raccordo tra produzione libraria e lettori che veniva svolto in passato nelle librerie. In pratica, salvo rare eccezioni, il libraio è assimilabile a un normale venditore di un grande magazzino e non è più un esperto da cui accogliere o a cui chiedere consigli.
Un’ulteriore difficoltà consiste nella scarsa disponibilità da parte delle librerie ad accettare un ordine di un libro pubblicato da un piccolo editore e ciò dipende dai meccanismi, sempre più accentrati, della distribuzione. La grande distribuzione, a quanto ci risulta, impone rapporti esclusivi alle librerie, pertanto non è loro possibile rifornirsi presso altri distributori. Un libraio potrebbe rivolgersi direttamente all’editore, ma è sempre più difficile trovarne uno che perda tempo in una simile operazione. Noi siamo distribuiti e ciò comporta un grande sacrificio economico data l’elevata quota che il distributore prende sul venduto, ma, ciononostante, in molti casi i nostri lettori si sentono rispondere dal commesso di un grande catena che “il libro non è disponibile”.
R. ELENA AIELLI: Rispondo prima al quesito sull’importanza della distribuzione per un libraio. Personalmente credo che l’assistenza di un distributore sia necessaria per il libraio. Il distributore svolge infatti un ruolo essenziale nell’ambito dell’editoria, i migliori non si limitano a spedire i libri richiesti dal libraio, ma svolgono un ruolo essenziale sia attraverso i loro agenti (ogni libraio può avere un agente di riferimento) sia attraverso una piattaforma comune: i migliori offrono ad es. al libraio anche una funzione, non solo di centralizzazione di informazioni, elenchi e schede sui titoli appena usciti (pensiamo alle centinaia o migliaia di informazioni che invadono il web ogni giorno, e anche alle recensioni su giornali e riviste online e cartacee), ma soprattutto una formazione costante sul mestiere del libraio, una piattaforma ora solo virtuale (ma prima della pandemia molti incontri avvenivano in presenza presso la sede fisica del distributore, almeno nelle grandi città, ovviamente, ma io posso parlare solo della città di Roma), consentendo così uno scambio anche fra librai e case editrici, soprattutto piccole e medie, e fra i librai tra loro. Ora gli incontri avvengono online, ma sono fondamentali per capire cosa sta succedendo nel vasto universo dei libri: le case editrici hanno a disposizione a rotazione uno spazio in cui fare il punto della loro situazione, presentare le novità, confrontarsi con i librai sulle ultime tendenze, sui generi che vanno per la maggiore e perché, consultare analisi statistiche anche divise per fasce d’età dei lettori, parlare dello “stato dell’arte” e del futuro dei libri in generale e del libro in sé su diversi supporti (cartaceo, e-book, audiolibro…). Ovviamente questa funzione di tramite fra libraio e casa editrice ha un costo, che influisce anche sul costo finale del libro, ma credo sia giustificato. Il mio distributore di riferimento non chiede ai librai alcuna esclusiva, per cui noi siamo liberi di contattare personalmente le case editrici. Alcuni distributori richiedono invece l’esclusiva, e non lo trovo corretto. Una piccola casa editrice può contattare direttamente i librai conosciuti in vario modo (anche attraverso le fiere specializzate), ma ciò richiede molto tempo; una grande casa editrice non può avere rapporti coi librai diffusi sul territorio, figuriamoci su scala nazionale!, ed evadere direttamente le loro richieste.
L’ostacolo principale alla diffusione dei libri delle piccole case editrici è rappresentato da un problema più generale che investe tutta l’editoria: si pubblica troppo, e troppi titoli di scarsa qualità. È sempre più difficile che un libro di qualità riesca a emergere. È difficile scegliere sia per il libraio che per il lettore.
Una casa editrice di piccole dimensioni non ha a disposizione, anche economicamente, le recensioni positive su un quotidiano o una pagina web o un passaggio in TV, il battage pubblicitario di una grande casa. Il passa parola fra i lettori e fra i gruppi di lettura, peraltro fondamentale, non basta.
C’è e ci sarà sempre di più la tendenza, da parte di grossi gruppi che vendono libri, ad affittare degli spazi all’interno delle librerie, ed un piccolo editore non può permettersi di pagare lo spazio espositivo, né tanto meno di pagare uno stand in occasione di fiere specializzate.
D: La promozione: cosa si intende esattamente per promozione di un libro? Cosa ostacola, per le piccole case editrici, una promozione capillare? Cosa possono fare, dal canto loro, le librerie indipendenti per essere competitive rispetto alle librerie di catena e alle piattaforme online?
R. A.C.: La pubblicità è l’anima del commercio e il mercato editoriale non sfugge a questa regola. Come ogni prodotto, perché venga venduto un libro deve creare nell’acquirente il desiderio di possesso e ciò è possibile solo attraverso la promozione. L’affidamento che si faceva un tempo sul passaparola, che in alcuni sporadici e ormai leggendari casi ha avuto un ruolo importante, nella maggior parte delle situazioni è deludente, come continuamente possiamo verificare.
Allora cosa si può fare per portare un numero più ampio di potenziali lettori/acquirenti a conoscenza di un libro? La risposta è assai difficile. Nella nostra società così articolata sono numerose le agenzie che si propongono per la diffusione del libro, in qualità di editori riceviamo continuamente proposte in questo senso. Purtroppo, per esperienza diretta e indiretta posso affermare con sicurezza che nel campo della promozione, così come in quello dell’editoria, non esistono le mezze misure: o ci si può permettere un ufficio stampa come si deve o tanto vale lasciar perdere. Vale a dire che se non puoi andare da Fazio o avere un passaggio su Billy, non serve pagare qualcuno per apparire su tivù locali.
Anche le recensioni su quotidiani di rilevanza nazionale – diversi nostri autori ne hanno avute – sono risultate poco impattanti a livello commerciale. Il quadro, mi rendo conto, è molto desolante, del resto viviamo in un’epoca caratterizzata da una grande concentrazione produttiva e distributiva e da un grandissimo conformismo e allineamento nel consumo dei prodotti culturali. È il paradosso del capitalismo, il paradosso delle democrazie moderne: tutti possono mettere su un’azienda, produrre e immettere sul mercato, ma le danze le conducono in pochi. Quando sottoscrivo un contratto con un nuovo autore io sono molto franca nell’esporre i limiti dell’operazione e chi pubblica con noi è consapevole di ciò che potrà ottenere e di ciò che non sarà alla sua portata. Eppure molti ci chiedono di pubblicare e molti ritornano, tutto sta a essere chiari e a non vendere illusioni.
Cosa possono fare, in questa situazione, i librai indipendenti? Certamente, a mio avviso, differenziarsi nell’offerta e coltivare il ruolo di consulenti culturali. Perché dovrei compare il libro di Vespa o il vincitore dello Strega dal piccolo libraio quando posso prenderlo al supermercato con un po’ di sconto? Perché devo andare in libreria quando il corriere Amazon mi porta il libro assieme alle capsule del caffè? Semplice, perché dal MIO libraio imparo, mi informo, discuto, posso ordinare un volume raro. A quanti ciò può interessare? Probabilmente a pochi, ma a questi pochi lettori forti i librai veri devono mirare, gli altri sono irrimediabilmente irretiti dal commercio online. Inoltre, a mio avviso, dovrebbero potenziare il settore dell’usato. Un lettore forte legge almeno un libro a settimana e vuole risparmiare. Inoltre, spulciare nel banco dell’usato è divertente, trovi cose che non ti aspetti.
R. E. A.: Le librerie indipendenti hanno perso in partenza. È sempre più difficile convogliare ad una presentazione dei potenziali lettori. Si crea un gruppo di lettura e poi gli interessati comprano il libro consigliato su Internet, presso un grosso gruppo che paga le tasse sugli utili all’estero, mentre il libraio paga le tasse per la sanità, l’istruzione, etc. nel proprio Paese! Anche il tentativo di consigliare un determinato libro sui social non funziona, nei commenti trovo scritto: “Bello, grazie, l’ho comprato!”, ma non in libreria!
Detto ciò, sottolineo in particolare il radicale mutamento della figura del libraio: ormai quasi nessuno entra in libreria e chiede un consiglio, e soprattutto chiede di leggere un libro bello, appassionante, emozionante; eventualmente si chiede un consiglio su un libro breve, “leggero”, che non faccia riflettere. E comunque si preferisce chiedere un libro di cui si è sentito parlare in televisione o ancora di più sui media.
D: Secondo voi che vivete in mezzo ai libri, è vero che in Italia si legge poco? O forse sarebbe più corretto dire che si comprano pochi libri? Se le statistiche tengono conto delle sole vendite, restano fuori i lettori che prendono in prestito i libri in biblioteca, per esempio. I libri usati che circolano, anche parecchio.
R. A.C.: In Italia si legge poco. Quando trova il tempo per leggere chi passa il tempo sui social? Guardate cosa succede in metro: per cinquanta passeggeri persi nello smartphone ve ne sono due o tre che tirano fuori un libro dallo zaino. Le biblioteche non mi sembra che siano molto in salute anche se moltissime svolgono attività culturali oltre che di prestito.
R. E. A.: In Italia si è sempre letto poco, anzi pochissimo. Noto però un radicale peggioramento negli ultimi anni, dopo la pandemia. Per quanto riguarda la fascia d’età medio-alta, c’è stata la presenza massiccia delle televisione e delle serie TV; molti dei miei clienti, forti lettori di romanzi, ora preferiscono le serie. Nella fascia più giovane, l’utilizzo sempre massiccio dei social. Tutti soffrono di difficoltà di concentrazione.
Per quanto riguarda le biblioteche, fino a poco tempo fa non si potevano prendere in prestito libri risalenti a meno di cinque anni prima. Ora anche il candidato al Premio Strega può essere chiesto in prestito, anche se è vero che le copie a disposizione per il prestito sono poche. Per quello che mi risulta, a essere chiesti in prestito sono in gran parte romanzetti e gialli, libri che magari si leggono solo una volta e non vale la pena conservare. Oppure libri di scarso valore, legati alla moda e agli influencer. Ho fatto personalmente una ricerca all’interno delle Biblioteche Comunali di Roma, e rimarreste sorpresi di scoprire che per alcuni libri “da niente” c’è una lista lunghissima di prenotazioni!
Il ricorso al prestito è dovuto anche all’aumento del prezzo dei libri (chi spenderebbe € 20 o più per un giallo?), che però a sua volta è legato all’aumento del costo della produzione della carta, e sua volta ancora più indietro al fatto che le grandi cartiere si stanno riconvertendo nella produzione di imballaggi, che poi finiscono sempre nel colosso mondiale con sede all’estero di cui sopra; produrre carta per la stampa è costoso, è preferibile produrre imballi di cartonaccio per confezionare merce inutile che verrà venduta online. Un’altra motivazione spesso addotta, è che si scelgono appartamenti sempre più piccoli, e non si possono tenere tanti libri.
Un altro concorrente della libreria è rappresentato dall’edicola; se esce ad esempio una bella biografia su Dante, scritta da uno storico di grande fama e molto seguito, pubblicata in un’edizione rilegata, al costo di € 20, e poi dopo poco la stessa biografia viene veicolata attraverso un quotidiano nazionale al prezzo di € 10, chi comprerà la stessa a 20 €? Ma la lotta fra librai indipendenti ed edicolanti è una lotta fra poveri.
D: Un altro luogo comune sul quale vorrei conoscere la vostra opinione è che in Italia si pubblicano troppi libri. Secondo voi, editrice e libraia, perché si pubblicano tantissimi titoli? A chi conviene, insomma, visto che poi si lamentano tutti, autori, editori, librai e lettori?
R. A.C.: In Italia si pubblicano troppi libri, è un dato di fatto. La stampa digitale ha abbassato i costi di produzione e sempre più persone dispongono di abilità grafiche sufficienti per confezionare un libro esteticamente accettabile.
Quindi le case editrici si moltiplicano e moltiplicano il numero dei titoli per questioni economiche. Anche chi non chiede all’autore di acquistare delle copie è costretto a ragionare sulla quantità: se un libro di un autore sconosciuto vende sessanta copie e ciò mi consente di guadagnare, poniamo, trecento euro, se ne pubblico dieci al mese guadagnerò dieci volte tanto.
La situazione è sfuggita di mano e nel mercato inflazionato si vende sempre meno. Del resto, ciascuno di noi avrebbe bisogno di una settimana di ventuno giorni per andare a tutte le presentazioni di libri a cui è invitato. Dieci, quindici anni fa non era così.
R. E. A.: Nel nostro Paese assistiamo al paradosso che tutti scrivono e pochissimi – sempre meno – leggono. Non c’è rapporto fra quantità di titoli pubblicati e lettori disposti a leggere. In questo momento, per la mia personale esperienza, resiste la saggistica e poco di più.
C’è l’importante fenomeno dei libri autopubblicati, anche da un colosso internazionale, lo stesso che sempre paga le tasse sui profitti che accumula in un Paese estero. C’è la scarsa qualità dei libri pubblicati. C’è la tendenza a parlare troppo di sé, troppe narrazioni solipsistiche, centrate su di sé, non universali, interessanti solo per chi scrive.
Moltissimi ad esempio hanno scritto delle proprie esperienze e delle privazioni vissute durante i due/tre mesi di reclusione per la pandemia, neanche fossero stati in guerra o in un campo di sterminio!
Forse un decennio fa, un grande colosso americano dell’editoria e dell’autopubblicazione decise di sbarcare in Europa, e dopo un’attenta indagine di mercato scelse l’Italia come prototipo europeo, perché in Italia si scriveva tantissimo!
Anche se si leggeva pochissimo…
Per quanto riguarda poi le piccole case editrici, si deve anzitutto distinguere fra quelle che pubblicano esclusivamente a pagamento, al loro interno quelle che spesso non forniscono nemmeno un servizio di editing e di correzione e che non si distinguono sostanzialmente dalle forme di autopubblicazione, e quelle che pubblicano libri che scelgono e che pensano possano meritare una diffusione, anche a fronte di un acquisto limitato di copie da parte dell’autore.
D: Avete qualche ricetta da suggerire per migliorare lo stato di salute del mondo dei libri?
R. A.C.: Bisognerebbe fare rete. Piccoli librai indipendenti e piccole case editrici dovrebbero collaborare tra loro, ma ci fa difetto la mentalità. No, non vedo luce all’orizzonte.
R. E. A.: Posso ricordare un provvedimento che ha aiutato realmente le librerie: col Decreto Franceschini le biblioteche, per l’acquisto dei libri, non possono rivolgersi online ma devono rivolgersi a tre librerie indipendenti, un aiuto concreto.
Posso rammentare quello che è successo in Svizzera: uno Stato dovrebbe avere il dovere di aiutare chi ha la pazza idea di investire in un’attività nel proprio Paese, tanto più se si tratta di un’attività culturale, ma non solo; quindi, la Svizzera ha invitato il colosso di cui sopra a uscire dai confini. Il risultato è che chi vuole continuare ad acquistare presso il colosso, paga un dazio. Ma in Italia non si può fare.
Si dovrebbe lavorare di più sulla scuola, temo che per gli adulti ci sia poco da fare.