Quando ha cominciato a scrivere? Era sicura di voler diventare una scrittrice?
Ho iniziato a scrivere quando ero piccola, intorno ai sette anni, quando mia mamma mi regalò un diario segreto, subito dopo aver letto il Diario di Anna Frank. Non ero sicura di niente quando ho cominciato, ma la scoperta che potevo raccontare dentro a un diario tutto quello che mi succedeva dentro, mi esaltava moltissimo.
Che cosa scriveva all’inizio? È stata incoraggiata da qualcuno e se sì, da chi?
Crescendo, lo scrivere si limitava alla forma diaristica. Verso i quindici anni, ho cominciato a leggere gli unici libri che giravano per casa. Erano quelli di Osho, che all’epoca non era così diffuso come adesso. Mia mamma, che era stata in India ed era stata una sua discepola, tornando in Italia aveva portato con sé alcuni suoi libri. In quel periodo, leggendo i libri di Osho, ho desiderato scrivere realmente, ma non racconti o romanzi, volevo scrivere di filosofia, cioè pensieri, soprattutto sulla vita. È stato verso i ventidue, dopo aver abbandonato gli studi di filosofia all’Università, che ho cominciato ad andare in biblioteca, e dopo aver conosciuto un ragazzo che all’epoca stava scrivendo il suo primo libro, (poi pubblicato da Baldini e Castoldi, Manuale per diventare Valerio Millefoglie) ho cominciato a scrivere racconti. La mia prima raccolta di racconti si chiamava: Mamma, scendo giù in cortile! (cosa di cui mi vergogno molto e che mi fa tenerezza insieme).
È stato Valerio Millefoglie il primo a incoraggiarmi. E per Baldini e Castoldi uscì nel 2004 il mio primissimo racconto, all’interno dell’antologia, Scontrini. Racconti in forma d’acquisto. E poi in seguito, anni dopo, Paolo Nori pubblicò nel 2010 alcuni miei racconti nella rivista letteraria, L’Accalappiacani, edita da Derive Approdi.
Come si fa a sviluppare una buona tecnica della scrittura? Ci sono trucchi che si possono usare per migliorare?
Una buona tecnica di scrittura? Quando ho cominciato a scrivere non mi sono posta questa domanda. Seguivo l’impulso che ricevevo dai libri che leggevo. Leggevo, leggevo, e scrivevo, scrivevo. E copiavo, ovviamente. Per imparare bisogna fare una marea di errori, e ci vuole qualcuno che questi errori te li faccia vedere. Ci vuole tempo e pazienza. E umiltà. Credo che prima di tutto bisogna essere pronti all’idea di sbagliare. Accettare che quello che si sta scrivendo possa non essere buono, o funzionare. Insomma bisogna buttarsi nella grande avventura di scrivere un racconto o un romanzo dall’inizio alla fine. È accettando il fallimento che si può migliorare e sviluppare una buona tecnica di scrittura. Almeno, per me è stato così e continua ancora ad esserlo.
C’è una cosa che ha scritto tanto tempo fa e che le piace quanto ciò che scrive adesso?
Sì. Il mio primo romanzo breve, o racconto lungo, come si dice. Si chiama Sgabello. È stato pubblicato nel 2010 da una casa editrice indipendente, che si chiama Untitl.ed. Ha dentro delle parti di cui mi vergogno molto, e altre che mi piacciono ancora, tipo questa:
“Ora ho pensato che su due piedi mi alzo e vado dalla mia vicina. Le voglio vedere le sue foto. Non è vero che non volevo vedere le foto della mia vicina. Voglio sapere com’era da giovane, che aspetto aveva, dov’è cresciuta, le scuole che ha fatto, come la chiamavano in casa, cosa si è sentita dire dagli altri, come ha vissuto l’infanzia, chi era sua madre, cosa faceva suo padre, di che lavoro ha vissuto fino alla pensione. Voglio sapere se ha sofferto, chi gli è stato ingrato, chi l’ha rivoltata al contrario, come ha fatto il tempo a farla apparire così come la vedo io. Voglio vedere cosa dicono le sue lettere, cosa dice quello che ha scritto, cosa cucinava, come teneva il ripostiglio e gli armadi, e i regali che ha ricevuto, le cose che ha conservato, di chi si è innamorata, se ha avuto dei bambini, e come si chiamano, e soprattutto come si chiama lei, di nome e di cognome. Non ci credo più che lei è così come l’ho sempre vista io, una persona brutta, aggressiva, dura, intollerante, prepotente, chiusa, avara, bassa, pesante, approssimativa, cupa, sadica, fredda, sgradevole, intrattabile, scortese, egoista, meschina, aspra, insensibile, senza cuore, cinica, rabbuiata, contorta, bugiarda, distante, sorda, triste, antipatica, dubbia, ingannevole, testarda, vaga, insomma, una cattiva persona”.
Le sue storie (i suoi libri) nascono meglio quando scrive in tranquillità o sotto stress?
Esternamente ricerco la tranquillità. Internamente lo stress.
Legge molto? Quali scrittori l’hanno influenzata maggiormente?
Leggo abbastanza. Ultimamente meno di quello che vorrei. Mi hanno influenzata sicuramente, Valerio Millefoglie e Paolo Nori, poi Thomas Bernhard, Agota Kristof, Grace Paley, Daniele Benati, Gianni Celati, Kafka, Manganelli, Buzzati, Rossana Campo. E altri, ma sarebbe una lista lunga.
Ha delle abitudini quando scrive? Predilige dei luoghi particolari dove scrivere?
La mia abitudine quando scrivo, è inizialmente perdere almeno due ore. Sì, ho un posto dove preferisco scrivere, cioè il mio tavolo di legno. Non ho mai scritto su altri tavoli.
Uno scrittore può imparare lo stile?
Ci ho pensato su qualche giorno prima di rispondere a questa domanda, perché su due piedi non sapevo cosa dire. Poi per caso mi sono ritrovata davanti a un testo di Virginia Wolf, che si chiama Spegnere le luci e guardare il mondo di tanto in tanto, edito da Minimum Fax, dove fa delle riflessioni sulla scrittura e a un certo punto dice: “Lo stile è una questione molto semplice: è una questione di ritmo. Una volta che lo acquisisci, non puoi sbagliare a usare le parole. […] Ora, definire il ritmo è una questione molto profonda, molto più profonda delle parole. Una scena, un’emozione, crea quest’onda nella mente, molto prima di trovare le parole adatte per esprimerla: e nella scrittura (questa è la mia attuale convinzione) bisogna riprendere quest’onda e rimetterla all’opera (che a quanto pare non ha nulla a che fare con le parole) e poi, quando essa irrompe ruzzolando nella mente, troverà anche le parole adatte per esprimerla”.
Ecco. Alla luce di queste affermazioni, che condivido, la risposta alla vostra domanda potrebbe essere: sì, lo stile si può acquisire, ma presuppone delle doti per poter afferrare il proprio ritmo, e queste doti credo che in parte siano innate.
Il libro è già tutto presente nella sua testa prima di cominciare a scrivere o si sviluppa, sorprendendola, mano a mano che va avanti?
La sorpresa è la parte più bella di quando scrivo. Ma sogno un giorno di avere un romanzo tutto nella testa, come raccontò una volta Thomas Bernhard quando gli chiesero come scrivesse i suoi romanzi. Rispose, puntando un indice sulla tempia, È tutto qui dentro.
Quanto c’è di autobiografico nei suoi lavori?
Nel mio primo romanzo, Il mio regalo sei tu, pubblicato nel 2012 da Marcos y Marcos, parecchio. Dipende dai lavori. L’autobiografismo mi interessa sempre molto. Nei libri che leggo ricerco sempre un Io narrante con i suoi pensieri, la sua voce originale, le sue ossessioni, emozioni, ecc… e tutto questo lo cerco anche nella mia scrittura.
Progetti per il futuro?
Giro intorno a un nuovo progetto che parlerà, tra le altre cose, d’amore.
Scrittura a parte, qual è la forma d’arte che sente più affine?
Ce ne sono due, la prima è pittura. Da bambina andavo in giro dicendo che da grande avrei fatto la pittrice, e una parte di me ancora sogna di poterlo fare. I colori mi affascinano molto. La seconda è la musica. Io penso che se non ascoltassi musica per un mese, mi esaurirei in fretta.
Il suo rapporto con le critiche e la Critica?
Con la Critica, quella della carta stampata, ho avuto un rapporto controverso. In parte non ho sopportato la modalità di interfacciarsi di alcuni giornalisti all’uscita de Il mio regalo sei tu, cercando informazioni soprattutto nella mia vita privata. Dall’altra invece mi sono trovata bene, ed è stato interessante e divertente vedere sul giornale un articolo che parlava del mio libro. Con le critiche invece non ho un bel rapporto, ci rimango male a leggerle e ci penso su molto. Anche a distanza di anni.
Quali sono le sue piccole manie?
La mia mania principale sono le agendine, i quadernetti e piccoli block notes. Ne ho bisogno, diciamo. Ne devo comprare almeno uno al mese, se non di più. Ho bisogno di avere sempre vicino a me e con me delle agendine su cui scrivere. Non sempre ci scrivo, e non è molto importante. La cosa che conta per me è averle. A volte me la racconto dicendo, Ci sono donne che fanno la stessa cosa con le scarpe, spendono tutti i loro per le scarpe, a me invece, tutto sommato, è andata bene.
Sarah Spinazzola è nata a Milano nel 1983. Ha pubblicato racconti nell’antologia Scontrini. Racconti in forma d’acquisto (Baldini Castoldi Dalai, 2004) e L’accalappiacani (Derive Approdi, 2010). Nel 2012 ha esordito con il romanzo Il mio regalo sei tu edito da Marcos y Marcos. Ha collaborato con la rivista Rolling Stone e con Doppiozero. Sta lavorando al suo nuovo romanzo.