Quando affrontiamo un nuovo autore, tendiamo quasi sempre ad iniziare con quei libri che vengono considerati i suoi capolavori.
Ma, riflettendoci, per alcuni scrittori sarebbe meglio accostarsi a loro attraverso i loro testi meno conosciuti.
Belli e dannati viene considerato il “tentativo”, la cosiddetta prova generale di Fitzgerald in attesa de Il grande Gatsby ma, nonostante tutto, avrei preferito accostarmi a lui tramite questo romanzo.
Non è facile spiegare il perché. Questo libro ha la tendenza a rimanermi in mente tramite immagini in dissolvenza.
Difficile immortalarle singolarmente a parole.
Un momento brillano di quella luce dorata che Fitzgerald sa donare alle parole, e un momento dopo, te le vedi sfumare davanti confondendosi in una lunga coda di cometa. Sempre luminosa e dorata, come la sua natura vuole, ma dai margini incerti e confusi.
Il romanzo, venduto alla rivista Metropolitan, uscì a puntate tra il 1921 e il 1922, (a cavallo quindi tra Al di qua del paradiso, romanzo di esordio di Fitzgerald e Il grande Gatsby), con un finale alternativo e più convenzionale, che Fitzgerald modificò per l’edizione in volume.
Anthony Patch è ricco, giovane e si è da poco laureato ad Harvard. Vive a New York in un bel appartamento da scapolo tra la Quinta e Sesta Avenue e campa di rendita, in attesa di ereditare una vera e propria fortuna alla morte del nonno paterno, di cui è l’unico erede.
La sua è una vita agiata, fatta di piacevoli passatempi e priva di qualsiasi tipo di responsabilità.
Riempie le sue giornata incontrando l’agente di borsa e pranzando al Ritz con i suoi amici, Maury Noble e Richard Caramel. Trascorre le sue serata in compagnia di giovani ragazze come Geraldine, di estrazione sociale inferiore e un po’ stupida, perché “pretendeva così poco che le piaceva, perché dopo una penosa storiella dell’estate prima con una debuttante, culminata con la scoperta che dopo una manciata di baci era già il caso di chiederla in sposa, Anthony si era tenuto alla larga dalle ragazze del proprio ceto” e perché “in un subalterno con cui si aveva dell’intimità si potevano tollerare caratteristiche che sarebbero state imperdonabili in un semplice conoscente di pari ceto”.
E’ chiaro che vuole proteggere il suo stile di vita da ogni tipo di attacco, dedicandosi esclusivamente al piacere e “all’ozio espresso con grazia”. E tutto fa pensare che potrebbe riuscirci, fino a quando Dick Caramel non gli presenta sua cugina Gloria Gilbert.
La Bellezza rincarnata in una flapper dai capelli alla garçonne e dal corpo snello e flessuoso.
Come ogni dea che si rispetti Gloria è viziata, egoista e capricciosa, ma Anthony non può fare a meno di innamorarsene perdutamente, riversando su di lei tutta la sua immaginazione frustrata, che con la sua comparsa sembra essersi finalmente e realmente materializzata.
“Era fantastica, esplodeva di vita; era una fatica straziante racchiuderne la bellezza in un solo sguardo”.
I due si sposeranno e dopo un primo periodo spensierato e felice, inizierà quello che è il vero tema di ogni romanzo di Fitzgerald, la descrizione della disillusione e del decadimento morale, non solo dei suoi personaggi, ma dell’intera era del jazz.
I protagonisti di Fitzgerald non sono nati per essere amati. Pigri, egoisti, arroganti e pretenziosi, di fronte alle loro parole e alle loro azioni, verrebbe subito da storcere il naso.
Ma Fitzgerald, da grande scrittore che era, li ha dotati di una caratteristica che riesce ad attenuare il nostro fastidio: la purezza.
Anthony e Gloria in realtà sono ingenui e puri nelle loro convinzioni e nella loro arroganza. Incarnano l’illusione dell’era in cui vivono e che terminerà tragicamente con la crisi del 29’.
Leggere Belli e dannati mi ha dato la sensazione di ritrovarmi attaccata al collo di un bottiglia di gin, le sue pagine sono lunghe sorsate alcoliche con cui inevitabilmente mi sono ubriacata.
Ma questo non dipende solo dagli avvenimenti che lo caratterizzano, come le feste, gli eccessi, i lunghi week-end di bagordi a cui i protagonisti si lasciano andare, come unico mezzo per riafferrare l’illusione del piacere e della felicità.
Il vero tasso alcolico del romanzo è dato dal talento di Fitzgerald.
Un talento che ai miei occhi trasforma un romanzo come questo, a volte ridondante, pieno di metafore e descrizioni, imperfetto, in un cocktail che da dipendenza.
Un cocktail di arti e stili diversi, la cui struttura è intervallata da pagine che sembrano vere e proprie sceneggiature, per poi passare a sottocapitoli che hanno tutte le caratteristiche delle favole (come quello sulla Bellezza rincarnata per esempio).
E come nell’eccesso di ogni ubriacatura, ho visto passare sotto i miei occhi tutti i difetti e le imperfezioni, ma non aveva importanza, perché l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che era troppo buono e dovevo averne ancora un sorso.
Fitzgerald è stato attratto dal cinema, e benché in questo romanzo fa dire ad Anthony che è contrario a che Gloria intraprenda la carriera di attrice(in realtà è geloso del produttore), il suo libro sembra nato per essere trasposto su pellicola.
La minuziosa descrizione degli ambienti, della luce che li caratterizza e che investe i personaggi, dei mobili e della loro posizione, dell’effetto globale che il personaggio fa in una determinata ambientazione, sembrano veri e propri set cinematografici.
Il suo è un romanzo artificiale, ma il suo artificio non è mai sterile.
Le sue immagini sono le scintille di un dorato fuoco d’artificio, illuminano a giorno, abbagliando, ma poi quando ne segui la caduta intravedi nelle loro scie luminose tutta la nostalgia, l’insoddisfazione, la sofferenza per la perdita dell’amore, della giovinezza, delle illusioni e della felicità dei suoi personaggi.
Ne Il grande Gatsby questa capacità di Fitzgerald giungerà alla perfezione, ma forse avrei apprezzato di più l’equilibrio del suo capolavoro se prima avessi letto questo suo strabiliante “tentativo”, che nel sue essere squilibrato e a tratti eccessivo, mi ha mostrato tutto l’esuberante talento del giovane Fitzgerald.
L’edizione di Minimum fax è, come sempre, molto completa e ben confezionata. La prefazione di Sara Antonelli è accuratissima e dettagliata, mentre la postfazione del traduttore, nonché scrittore, Francesco Pacifico riesce ad unire la capacità di analisi del testo al divertimento e l’ironia.
Belli e dannati
di Francis Scott Fitzgerald
traduzione e postfazione di Francesco Pacifico
prefazione Sara Antonelli
Minimum fax (2011)
€ 13,50
pp. 559
ISBN: 9788875212988