Talvolta la storia lascia prepotente le sue impronte più nella vita degli individui che nella società e nelle istituzioni, più tra le pagine di un romanzo che sui manuali.
La Sicilia a cavallo fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, descritta da Simonetta Agnello Hornby nel suo ultimo libro Caffè amaro ne è un esempio. Un romanzo del quale si apprezza soprattutto il meticoloso lavoro di ricerca e documentazione storica che ne precede la stesura e che si coglie subito alla lettura.
L’accadere storico non si limita a fare da cornice alla vicenda narrata, ma penetra all’interno dei suoi attori. A testimoniare il trascorrere del tempo non sono, tuttavia, solo i personaggi che si avvicendano, ma anche le cose. La narrazione si apre infatti con il rombo di un’automobile, l’Isotta Fraschini e si chiude con quello di una moto Guzzi Falcone.
Teatro della prima parte di questa storia è un paese dal nome fittizio di Camagni. Elemento, quest’ultimo, che ricorda il “marchio” Camilleri, autore dal quale l’autrice mutua anche la scelta d’inframmezzare il testo con termini dialettali.
Due famiglie, i Sala e i Marra, si uniscono per mezzo del matrimonio tra Pietro e Maria. Un matrimonio che non è frutto né dell’amore, né della violenza, in un’atmosfera di tenue e implicita costrizione, che come un sorso di caffè amaro può essere mandato giù senza troppa difficoltà. Un’unione capace di dispensare momenti di felicità ma che lascia dietro di sé una scia d’insoddisfazione.
Sensualità, passione, intelligenza caratterizzano la figura di Maria, della quale seguiamo, fra le pagine, la lenta trasformazione. Un fiore che sboccia da un bocciolo pudico e insicuro, forgiato dalle asperità della vita e della storia, si trasforma in una ginestra caparbia, forte e silenziosa che riesce ad affermare la sua libertà nell’apparenza delle catene.
Il personaggio di Giosuè, fratellastro e poi amante di Maria, ebreo e gerarca fascista, incarna invece il limite sfumato tra vittime e carnefici testimone di un mondo che si capovolge velocemente, senza che vi si possa stare al passo immuni dalle conseguenze. Compreso tra i due estremi, Giosuè è costretto a nascondersi in luoghi che raccontano la storia delle città siciliane: monasteri, teatri, appartamenti nobiliari…
In contrapposizione agli oggetti e ai luoghi che cambiano, le cose della natura segnano invece l’identità e la fissità inconfondibile dell’isola italiana. Affascinanti sono le lunghe descrizioni della vegetazione locale: dai gelsomini agli agrumi, dalla lavanda alla citronella, dagli uliveti alle vigne…
Con tutto quel mare era come vederlo, il tempo. Passava e sembrava non toccare la sostanza delle cose. Il paesaggio pareva restare lo stesso. La somma dei giorni si mescolava al lento moto delle acque. Quante volte si era sentita tutt’uno con quella inquieta apparente immobilità. Eppure, uno dopo l’altro gli eventi avevano toccato anche la sostanza delle cose, e il tempo aveva segnato Girgenti e l’Italia.
Ad emergere è l’immagine della Sicilia delle contraddizioni, del contrasto tra la natura e la storia. Un’isola stretta nella morsa di una natura capricciosa (talvolta rigogliosa, talvolta ostile) e vittima della politica del malaffare, tra la piaga locale della mafia e l’arrogante regime coloniale dei piemontesi prima e del fascismo dopo. Una terra a tratti isolata a tratti perfettamente connessa al resto del mondo per mezzo di uomini e donne che viaggiano, si spostano, sognano l’America, partecipano alle campagne coloniali in Africa. Fanno la loro comparsa, inoltre, personalità realmente esistite come l’editore Angelo Fortunato Formiggini.
Tra i malcontenti all’indomani dell’Unità, nel clima teso delle leggi razziali, sotto i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, il lettore attende con il fiato sospeso che la catastrofe si abbatta sui protagonisti. Invece il declino è lento, naturale, dolce. La morte diventa una scelta, e non conseguenza del dolore, ma della felicità, del compimento e della pienezza.
Era sazia di vita e non le interessava che quella sensazione coincidesse con l’incrinarsi della sua saldezza fisica […]. La progressiva confidenza con la propria stanchezza era accolta dentro di lei come una crepuscolare confidenza con la vita vissuta.
La scrittura appassionata di Simonetta Agnello Hornby e la capacità di saper tessere insieme i fili della storia e quelli della vita privata rende avvincente un copione di certo non originale, esprimendo bene la bellezza di una Sicilia vera, autentica nel chiaro scuro delle sue luci e delle sue ombre.
Caffè amaro
Simonetta Agnello Hornby
Feltrinelli
2016
Ibsn 9788807031830
Pagine 348
Disponibile anche in Ebook