«Cantami, o Musa» dice, e dall’urgenza nella voce si capisce che non è una richiesta. Se fossi incline a soddisfare il suo desiderio, potrei dire che affila il tono sul mio nome come fa un guerriero quando passa il pugnale su una pietra abrasiva, preparandosi alla battaglia dell’indomani. Ma oggi non sono dell’umore per fare la musa. Forse lui non ha pensato a cosa significa trovarsi nei miei panni. Certo che non ci ha pensato: come tutti i poeti, pensa solo a se stesso. È incredibile che non abbia considerato quanti altri uomini ci sono come lui, ogni giorno, tutti lì a pretendere la mia attenzione incondizionata e il mio aiuto. Di quanta poesia epica c’è davvero bisogno al mondo?
Chiunque conosce la storia della guerra di Troia, chiunque conosce e sospira il nome del grande e possente Achille, dell’astuto Odisseo e del saggio Ettore, e tutti conoscono la fine della storia, nonché la fine eroica di questi eroi, baluardi e rappresentazioni del coraggio stesso.
Eppure c’è qualcosa che la storia, il mito o la favola ci ha nascosto per tutto questo tempo, qualcosa che noi, lettori assuefatti al dato di fatto e storditi dal fumo della gloria, non abbiamo avuto la curiosità di vedere e per questo di chiedere, e quel qualcosa torna oggi, con secoli e secoli di ritardo, e torna nelle righe di Natalie Haynes che, con il suo talento ci restituisce la voce e la sofferenza delle donne che hanno vissuto la guerra di Troia.
Ora nella cultura occidentale è quasi impossibile parlare delle donne della guerra di troia senza che la memoria si riallacci immediatamente, con istinto famelico, al nome di Elena: la donna più bella del mondo, colei che ha scatenato il tutto, colei per la quale migliaia di uomini sono morti punti dall’orgoglio di una spada che non hanno saputo schivare.
Crudele destino quello di Elena, capro espiatorio della Storia. Ma Natalie Haynes illumina un lato del prisma taciuto, nascosto così bene tra le righe del coraggio da renderlo quasi invisibile.
Molte lacrime furono versate per Achille, ma si mescolarono con l’acqua di mare tutt’intorno. Teti pianse per il figlio quando morì, come aveva fatto tante volte quando era in vita. Anzi, aveva pianto parecchio anche prima che nascesse. Le altre ninfe si erano sempre prese gioco della sua facilità alle lacrime: le acque verdi e profonde di Oceano erano piene di Teti e dei suoi eterni dolori. Se fosse stata una ninfa dei boschi, aveva commentato sprezzante un’altra nereide, il suo rifugio nella foresta si sarebbe presto trasformato in una palude.
L’autrice scava e ci racconta di un’altra donna che ha scatenato e voluto quella guerra, anzi, è più che una donna, è dea, e che Dea! Stiamo parlando di Teti, dea della saggezza. E forse ora vi starete chiedendo: perché proprio la dea della saggezza (una donna) ha voluto scatenare una guerra? Beh questo lo scoprirete solo leggendo il libro e solo ascoltando fino in fondo il dolore di tutte le donne che lo attraversano: Cassandra e delle sue spaventevoli visioni, Ecuba, una madre e una regina che sopravvive ai suoi figli per morire da schiava, fino ad Andromaca, che dall’amore non saprà più salvarsi.
Attraverso una prosa scorrevole l’autrice ci scava dentro, regalandoci ritratti così reali e vivi da emozionarci a ogni riga, lasciandoci con la consapevolezza che la guerra non ha mai vincitori. Mai.
IL CANTO DI CALLIOPE
Natalie Haynes
Trad. Monica Capuani
Marsilio (Universale economica Feltrinelli)
pp. 320
euro 12