In che considerazione dovremmo tenere i nostri desideri – anzi, di più: i nostri sogni, il nostro motivo d’esistere – quando essi cozzano con la felicità di chi amiamo? In che rapporto sta il dovere verso noi stessi, verso la nostra felicità, con quello nei confronti degli altri? Ci torneremo nel prosieguo ma intanto vale la pena osservare che ne fornisce una chiave interpretativa George Eliot ne Il mulino sulla Floss, pubblicato nel 1860, in pieno periodo vittoriano.
Dietro allo pseudonimo George Eliot si cela l’autrice Mary Ann Evans che, nata nel 1819 in una famiglia della agiata borghesia inglese, ebbe in odio per tutta la vita, adornata da anticonformismo, il bigottismo calvinista della classe media britannica. Il libro è un superbo affresco dell’età della borghesia, i cui valori di realizzazione mondana – secondo l’etica protestante filtrati come cartina al tornasole del plauso che nell’altro mondo riscuotono le nostre azioni in questo – improntano, oltre ogni altro valore morale, l’agire delle classi medie.
L’autrice ci mostra le vicende dei Tulliver, che gestiscono un mulino situato sulle sponde del fiume Floss, vicino al villaggio di St.Ogg’s nel Lincolnshire, in Inghilterra, alle cui pale sono affidati: i sogni di posizionamento sociale del padre, che vive il sacerdozio laico della parsimonia calvinista, di sano decoro, della forma comme il faut, della madre, dell’accumulazione del capitale del figlio Tom e, avulsa dal contesto, dei desideri – romanticamente assorbiti per osmosi dai libri che divora – della figlia Maggie, la protagonista del libro.
Attorno al pianeta dei Tulliver, ruotano i satelliti delle famiglie che con loro hanno un rapporto di parentela, soprattutto quella della coetanea cugina Lucy, oppure un aspro contenzioso legale, come la famiglia Wakem, il cui unico rampollo, Philip, incontra Tom nella casa di un comune precettore e si mostra come un brillante studente ad onta di una difformità fisica che ne condiziona i rapporti sociali, specie con l’altro sesso.
La diatriba legale con i Wakem, malgrado la banalità della contesa, spinta alle estreme conseguenze dal capo famiglia dei Tulliver, un rodomonte con nessun autocontrollo, produce la rovina finanziaria della famiglia che, conseguentemente, è esposta al pubblico ludibrio della bancarotta. I due fratelli reagisco in maniera opposta: Tom rafforza il suo pragmatismo, che lo trasforma nel tipico “uomo del capitalismo”, Maggie abbondona i suoi sogni, tratto che caratterizzerà tutte le sue scelte di vita, per regredire completamente sui bisogni della famiglia, ora in crisi economica.
In questo tritacarne sociale che è costituito dalla presa del potere sia economico, sia culturale, dell’istaurarsi dell’età della borghesia, finiscono schiacciate le nuove generazioni, i cui sentimenti devono un tributo al perbenismo bigotto della classe media: la passione di Philip per Maggie è osteggiati da Tom che vede nei Wakem i demolitori della felicità della sua famiglia; Maggie, attratta da Stephen, che agli occhi di tutti sarà il futuro marito di sua cugina Lucy, amputa questo suo desiderio sacrificandolo sull’altare della felicità della cugina. Ma il desiderio abortito è vendicativo, non concede mercé, è subdolo, implacabile, si nutre della linfa del rimpianto: in un giorno di sole buio bussa al tuo uscio e ti conduce seco!
L’eroina di Eliot non è né madame Bovary né Karenina, non ha la capacità di giocarsi tutto puntando su un solo numero, come Emma, o ergersi contro la società zarista, come Anna; di fronte al crearsi di una situazione “compromettente” reagisce come ha sempre fatto: rifiuta il matrimonio con Stephen e si ritira dai propri sogni in buon ordine, sublimando quelli degli altri.
Tuttavia, non sarà sufficiente: la terribile intifada delle donne del villaggio, tutte “moglie del mondo”, non le perdona; Maggie è condannata all’esilio morale: consumato o meno, il desiderio di desiderare senza il sigillo del matrimonio è un peccato contro il bigottismo; non v’è nessun altro sbocco che la morte portata dalla piena della Floss.
Il sacrificio dei propri sogni ha condotto Maggie alla rovina, si potrebbe fare tesoro dell’impostazione di Deleuze e Guattari – secondo cui saremmo esclusivamente delle “macchine desideranti”- completata con la convinzione di Lacan che non si debba “cedere sul desiderio” .
Maggie, invece, ha ceduto, ha soppresso in gola il suo urlo barbarico, eppure, malgrado questo, non ha passato la visita di leva del bigottismo: non sono le acque a uccidere Maggie e Tom, ma la restrizione mentale delle norme fissate a base etica della società borghese, cui Maggie non riesce in nessun modo a reagire:
La barca ricomparve, ma il fratello e la sorella, erano affondati in un abbraccio per sempre indivisibile, rivivendo in un attimo supremo i giorni in cui avevano intrecciato con amore le loro piccole mani e insieme vagato per i prati di margherite.
Il romanzo di formazione scopre un retrogusto femminista disvelato dalla condizione emarginata della donna, dall’obolo offerto alla fede nel formalismo nel quale sono tradotti i valori cristiani, dallo iato povertà-ricchezza, da una visione meramente notarile attribuita all’istituto del matrimonio e, non ultimo, dalla subordinazione di Maggie alle convinzioni del fratello, dal quale otterrà il perdono, relativo al nulla, solo in punto di morte di entrambi.
E Stephen e Philip?
Uno dei due tornò a visitare la tomba con un dolce viso accanto al suo: ma fu parecchi anni dopo. L’altro era sempre solitario. Non trovava compagnia che tra gli alberi dei Fondi Rossi, dove la gioia sepolta pareva ancora aleggiare, come un’anima ritornante. La tomba portava i nomi di Tom e Maggie Tulliver, e sotto i loro nomi stava scritto: NELLA MORTE NON FURONO DIVISI.
IL MULINO SULLA FLOSS
George Eliot
Introduzione Anna Luisa Zazo
Trad. Giacomo Debenedetti
Mondadori (Oscar Classici)
pp. 704
euro 11.50