Torino, storia di due giovani che valicano il dopoguerra, incontrandosi, innamorandosi, sposandosi, partorendo figli. Lui -ufficiale del Genio e futuro ingegnere- è appena tornato dalla disfatta militare in Russia; lei, ammantata di nubi, respira musica e poesia. Improbabile, eppure si sposano nel 1946. Coppia preda dell’insostenibile euforia del boom economico e poi del peso invincibile che sulle spalle calano gli anni della maturità: Andrea, uno dei figli, si prenderà la briga di raccontarci in questo libro il tessuto della sua vicenda famigliare.
Prima c’era una casa, poi c’era una fossa. Non è normale che un simile prodigio sorprenda un bambino? E tutto questo l’ha fatto tuo padre. Così forte da distruggere una casa e scavare un buco largo e profondo come la casa stessa. E infatti dopo un po’ dal buco è uscita fuori una casa nuova, come se la terra l’avesse partorita e mio padre fosse una levatrice o un rabdomante o un cane da tartufo…
Un vecchio adagio, buono per tutte le stagioni per cui per nessuna, teorizza che gli opposti s’attraggono, forse sì, ma spesso rimangono diversi, non si mischiano, manca la condivisione d’una visione di questo mondo e, per chi crede, anche dell’altro.
Questa è la materia del rapporto tra i due: lei donna sensibile, incline alla forma, alle arti, lui pragmatico, volto alla sostanza, di più, razionalista, ingenuo neopositivista, non a caso nato già ingegnere, poi laureatosi nella materia d’elezione. Ma in fondo, fosse solo diversità poco male, lo spazio algebrico dei sentimenti è pieno di storie che raccontano le due diverse sponde della vita, lui però, a poco a poco, cade preda della più profonda depressione e in questo pozzo, piano piano, trascina moglie e figli, lasciando nelle loro esistenze, specie di questi ultimi, lo stigma indelebile della melanconia.
Da adulto, Andrea, l’autore, sente il desiderio di riannodare i fili del suo passato: si dota della mappa di Torino, una carta più del tempo che dello spazio e utilizzando come guida in questa archeologia della memoria alcune agende del padre, ovviamente di sovrumana precisione e meticolosità, cerca di svelare l’arcano contenuto nelle lettere d’amore scambiatesi tra i genitori.
La versione ufficiale della famiglia sulla depressione del padre era che non vi fosse stato nessun motivo reale (sic!) per essere depressi, ciò che avviene nella mente non è vero, lo è quello che succede nel cervello! Questa la tesi, che portata alle estreme conseguenze, ci designa come automi preda di processi neuronali ed elettrolitici, negando persino il libero arbitrio.
Andrea non accetta che sia il caso a creare il caos: ricostruendo grazie alle agende paterne un sinistro, causa di alcuni morti, avvenuto in una casa di cui il padre dirigeva i lavori, suppone che questo senso di colpa non metabolizzato sia l’innesco della depressione. In ogni caso, il sopraggiungere della prostrazione del padre coincide con i periodici suoi ricoveri in cliniche specializzate, con il tramonto della sua figura paterna e l’assurgere della madre a perno della famiglia.
Non è nemmeno possibile sostenere che chi soffre di depressione manca di qualcosa, come un diabetico manca di insulina. L’ipotesi della serotonina è solo un’ipotesi. Così si finisce per dire che è depresso chi risponde alla cura antidepressiva.
Da un punto di vista di ingegneria letteraria, tre sembrano i punti rilevanti.Il primo concerne la struttura del romanzo: non una trama in rilevo ma un magma fatto di ricordi, testi di lettere e di diari, foto di famiglia, una sorta di documentario della storia della famiglia.
Il secondo riguarda la forma: impostata, come la planimetria della città che ospita il libro, al più rigido razionalismo, attraversata dalle onde telluriche di un’infinità non numerabile di dettagli in cui galleggiano i fatti, o, come vorrebbe Nietzsche -citato non a caso molto spesso nel libro- le interpretazioni. Questo tessuto narrativo è utilizzato da grandi romanzieri -si pensi a Faulkner o al Gadda del Pasticciaccio– per sospendere il giudizio della parola e sollevare il dubbio senza dare la risposta, compito, stante che la verità è impossibile, che non è dell’arte ma della scienza. Più recentemente e frequentemente, si usa questo criterio di costruire la narrazione in scala 1:1 con i fatti – nulla si omette come insignificante, tutto si riporta pedissequamente – probabilmente per una forma estrema di nichilismo: se l’istante della morte del padre, della nascita del figlio, dello scoppio d’una guerra, assumono la stessa intensità narrativa e lo stesso spazio attribuiti a uno sbadiglio o alla frittura di un uovo, possiamo dire che tutte le cose hanno lo stesso valore che è Nulla; torna in mente Nietzsche che dice, più o meno, che siccome è impossibile per l’uomo soppiantare il Dio morto, allora guidare popoli o ubriacarsi in un sottoscala hanno lo stesso valore. Probabilmente, il caso più noto di questa nuovelle vague letteraria è quello di Knausgard, il quale ha narrato la sua vita edificando una specie di recherche, miniera di minutissimi dettagli, in sette tomi.
Il terzo punto concerne un artificio letterario; per creare uno sfiatatoio alla claustrofobica necessità narrativa di rappresentare la melanconia, l’autore incorpora nel libro una sorta di geniale corpo a corpo intellettuale con Lévi-Strauss e Perec, con gli etnologhi Griaule e Leiris: appaiono alla nostra visione, resa angusta e avara dalle immagini dalla descrizione del tunnel depressivo, spazi infiniti e popolazioni che incarnano il mito della consunzione: i Dogon, popolazione africana del Mali che assomma a non più di 250 mila individui, con alcuni gruppi stanziati nei territori attigui al Burkina Faso; la mitologia di questo popolo conferisce un trompe-l’oeil al racconto e lo proietta, in un gioco di specchi, all’infinito, giocando con la dialettica chiusura-apertura.
In fondo, un libro sul tempo che è la materia della memoria.
Chiese che Renzo riprendesse il passo esatto, cadenzato e instancabile dell’ingegnere, già ufficiale del Genio, ma rimanesse per sempre un pagliaccio e un pasticcione…
La traversata notturna
Andrea Canobbio
La nave di Teseo
pp. 528
euro 21
Grazie per la recensione che rende accattivante la lettura che adesso non potrà essere più esclusa.
Marco
Marco, grazie a te per l’interesse
Antonio