Nel suo ultimo romanzo dal titolo Nel guscio, Ian McEwan ci presenta una narrazione il cui punto di vista è del tutto originale.
Siamo a Londra, Trudy è al nono mese di gravidanza, vive con un tizio di nome Claude in un lurido e decrepito edificio su Hamilton Terrace ereditato da John Croincross, nient’altro che ex marito di Trudy e fratello di Claude. Tutto questo è un feto a raccontarcelo, ecco il geniale e forse irreale punto di vista che McEwan ci presenta nel suo ultimo romanzo edito Einaudi.
Già a partire dall’incipit la narrazione è folgorante:
Dunque eccomi qui, a testa in giù in una donna. Braccia pazientemente conserte ad aspettare, aspettare e chiedermi dentro chi sono, dentro che guaio mi sto per cacciare.
A questa narrazione il lettore deve lasciarsi andare, abbandonando la ragione e vagando solo con la fantasia. In questo modo il feto non solo non ci sembrerà tale, ma diventerà un narratore che ha le sembianze di un personaggio reale e adulto, che si nasconde dietro le quinte della casa in cui si svolge l’intera vicenda. Sarà anche più facile accettare che questo bambino non ancora venuto alla luce bloccato in uno spazio che inizia a impedirgli il movimento, possa essere in grado di riflettere sul mondo che lo attende.
Ho saputo sin dall’inizio, da quando ho scartato il dono della coscienza dal dorato involucro in cui era avvolta, che sarei potuto venire al mondo in un luogo peggiore e in tempi di gran lunga più tetri di questi. Lo stato generale delle cose mi è più chiaro, e rende, o dovrebbe rendere trascurabili i miei problemi privati. C’è non poco di cui essere lieti. Sto per ereditare una condizione di modernità e per abitare in un luogo privilegiato del pianeta: la ben nutrita, bonificata, occidentale Europa. L’antica leggendaria Europa. Decrepita, relativamente garbata, infestata dai propri fantasmi, vulnerabile ai prepotenti, poco sicura di sé, traguardo di milioni di sventurati. […] Erediterò il regno tutt’altro che unito di una stimata anziana regina, un posto nel quale un principe-imprenditore, noto per le sue opere buone, i suoi elisir, e le sue ingerenze incostituzionali, attende irrequieto il trono. Casa mia sarà questa, e mi andrà bene così. Poteva toccarmi di venire al mondo in Corea del Nord, un altro posto dove la successione non si contesta ma la libertà e il cibo scarseggiano.
Tra queste riflessioni sui tempi moderni, sulla poesia e, infine, sul vino, il piccolo feto senza nome si trova ad ascoltare le trame omicide della giovane Trudy e del compagno Claude, un uomo tanto ricco economicamente quanto povero emotivamente.
Dal suo guscio il feto ascolta, percepisce i movimenti, immagina i volti di una famiglia che troppo spesso sembra dimenticarsi di lui, vive le emozioni della madre, ne ascolta il respiro, il sangue che scorre e il battito cardiaco, fino ad assistere nauseato ai terrificanti rapporti sessuali, denominati il “Muro della Morte”, dei due amanti fedifraghi.
In questi giorni pieni di tensione, segreti, paure, alcol e stratagemmi, il futuro nascituro oscilla continuamente tra bene e male sia verso questa giovane madre che non vede l’ora di incontrare sia verso un padre che forse non vedrà mai e che cerca di avvertire attraverso i calci dentro il ventre della donna.
Mentre la trama escogitata procede, il feto però è ancora al di fuori della realtà, almeno fino a quando con le proprie mani non decide di entrare in scena.
Questo insolito romanzo è stata una gradevole e rapida lettura durante la quale mi sono continuata a chiedere se e come quel piccolo bambino, così capace di comprendere la vita attorno a lui, avrebbe agito. In fondo a questa continua suspance l’autore ha, a mio avviso, posto un grande punto interrogativo rivolto al futuro. Un punto interrogativo nel quale molti di noi, attualmente, forse ci troviamo.
Nel guscio
Ian McEwan
Trad. Susanna Basso
Einaudi (Supercoralli)
pp. 173