Sud degli Stati Uniti, mitica contea di Yoknapatawpha, un po’ Macondo di Marquez, dove Faulkner ha ambientato molti dei suoi racconti: un negro “libero”, Lucas Beauchamp, si comporta da bianco” e uccide il rampollo (ovvio, bianco!) di una delle famiglie più in vista e potenti della contea. In un dialogo di infiniti silenzi e flussi di coscienza, insomma à la Faulkner, Lucas interloquisce con il protagonista del libro, il sedicenne Charles. I due si sono incontrati per la prima volta durante una battuta di caccia, quando il giovane era finito in un torrente andando poi ad asciugarsi a casa di Lucas. Nel suo immaginario d’adolescente, Lucas gli parve un nero, anzi negro – come dicono i personaggi di Faulkner – atipico, che si comportava – follia! – da bianco.
Prima dobbiamo fare di lui un negro. Deve ammettere che è un negro. Poi forse lo accetteremo come sembra voler essere accettato.
Lucas convince Charles che il morto non è stato ucciso dalla sua pistola, pertanto gli chiede di disseppellirne il cadavere per provare la sua innocenza. Charles – ricco della sua ingenuità da giovane scevro di pregiudizi – gli crede e insieme al suo amico nero Aleck Sander e all’eccentrica settantenne signorina Habersham, fruga nel fango e riesuma la verità.
Verità è la parola chiave del libro che s’associa a impossibilità: il testo è un j’accuse contro l’incapacità dell’Uomo, animale abitato dal pregiudizio, di pervenire al vero. Del resto, non è compito della letteratura di stabilire la verità, che è solo patrimonio di chi ha (o non ha) fede: l’arte deve piuttosto sollevare il dubbio, portare il lettore fino al baratro del paradosso ma non risolverlo, piuttosto animarlo con le nostre paure, battervi sopra le nocche e mostrare che è solo polistirolo. La parola che sospende il tempo e la razionalità, che crea infinite ramificazioni di possibilità, è la soluzione che utilizza la letteratura per distinguersi dall’epistemologia.
Questo fa l’illusionista, il giocoliere Faulkner, giostrando con il suo patrimonio di parole e segni: incidentali dentro incidentali, parentesi dentro parentesi, un’interpunzione che sconfigge la finitezza delle cose, dialoghi con il proprio sub-conscio lunghi una pagina. Soprattutto la messe di particolari, la descrizione minuta di oggetti infinitesimali, la sinestesia di percepire il colore di certi frattali di tempo. Chi abbia una concezione minimalista della forma in letteratura (non so, Hemingway?) asserirebbe che trattasi di superfluo, di fuffa, di panna montata, ma in Faulkner ciò che per gli altri è un di più diviene il minimo indispensabile: impensabile toglierlo dal racconto senza che questo imploda!
Poi la luce. Tutte le scene sono affogate nel buio della sera del sud degli Stati Uniti, ma come un Caravaggio della letteratura, l’Autore illumina ogni personaggio, ogni scena, ogni pensiero, con la luce reietta dal buio dei nostri incubi (in tal senso, si pensi a uno dei capolavori di Faulkner, Luce d’agosto).
Lui vide gli alberi contro la luce grigia e poi il sole alto e furioso sopra gli alberi abbagliarlo ed era già tardi
Sopra la forma, sopra la luce, sopra le epifanie lessicali, sopra tutto, c’è la storia, che non si fa mai morale per tutte le stagioni, caso mai spunto per una riflessione, fosse anche del “dopo cena”: la ricerca, vana, della verità è un’attività da minatori, si deve, come suggerisce il titolo, frugare nella polvere, ma tutto è inutile, l’Uomo non giudica, pre-giudica e teme solo l’oltraggio che si provi il suo errore:
quello che fa rigirare nel letto un uomo insonne non è aver offeso il prossimo quanto avere avuto torto; la semplice offesa può cancellarla distruggendo la vittima e i testimoni ma l’errore è suo…
Lucas, è colpevole, in quanto il non esserlo implica che lo sia un bianco. L’innocenza del negro, infatti, falsifica il pregiudizio iniziale per il quale un negro è un perfetto responsabile dell’assassinio di un agiato bianco. L’ordine, anzi, l’Ordine, è sotto scacco: il delitto, la colpa, è patrimonio della razza dominante. Non è dato scegliere:
siamo nella posizione dei tedeschi dopo il 1933 che non avevano alternative tra l’essere nazisti o ebrei o dei russi di adesso.
Per cui il significato del titolo è di mettere in guardia che a cercare, frugando nella polvere della nostra psiche cancerosa, si trova esattamente l’opposto di ciò che suggerisce il pregiudizio e ciò mina la stabilità del sistema e, a dirla tutta, anche del nostro subconscio.
Sic transit gloria mundi!
NON SI FRUGA NELLA POLVERE
William Faulkner
Trad. Roberto Serrai
Adelphi (Biblioteca Adelphi)
pp. 235
euro 19