Penna a penna. Intervista con l’autore: Federico Moro

FedericoMoro1. Quando ha cominciato a scrivere? Era sicuro di voler diventare uno scrittore?
Posso dire di avere sempre scritto. Poesie, appunti, commenti, riflessioni, racconti brevi. La forma scritta rappresentava il modo normale di organizzazione del pensiero. Di base sono uno storico ed era questo che desideravo diventare: un indagatore del tempo per cercare di carpire i suoi segreti alla verità. Il lato letterario si è sviluppato, per così dire, come una sorta di deviazione del ramo principale. Tale resta ancora oggi.

2. Che cosa scriveva all’inizio? È stato incoraggiato da qualcuno e se sì, da chi?
Ho cominciato con la poesia. A lungo è stata la forma letteraria che mi sembrava più adatta a esprimere quanto cercavo di dire. Ancora adesso cerco nei versi quegli accenti che non riesco a trovare altrove. Non ho mai ricevuto alcun incoraggiamento. Anzi. Scrivere per me è stato quasi un atto d’insubordinazione, di sicuro una dimostrazione di ostinazione. O di volontà, se si preferisce.

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L’ARABO DEL FUTURO di Riad Sattouf

Copertina l'arabo del futuroHo conosciuto Riad Sattouf alla presentazione che ha tenuto al Festival di Internazionale a Ferrara. Mentre, come dedica, mi disegnava il piccolo protagonista dai boccoli biondi (cioè se stesso) del suo magnifico romanzo a fumetti autobiografico, io sbirciavo di sottecchi, pieno di curiosità,  la sua capigliatura scura.
La voce narrante dell’opera, appena tradotta in Italia da Rizzoli Lizard, L’arabo del futuro. Una giovinezza in Medio Oriente (1978-1984), già vincitrice in Francia del prestigioso premio Fauve d’or come miglior fumetto al Festival d’Angoulême 2015, è proprio quella del piccolo Riad che racconta i suoi primi sei anni di vita trascorsi fra la Francia, la Libia e la Siria seguendo gli spostamenti per lavoro del padre, professore siriano laureato alla Sorbona. Il bambino attira su di sé le attenzioni di tutti, anche a causa dei suoi capelli biondi (l’autore ha giurato, durante l’incontro, che erano proprio così nell’infanzia): i ragazzini arabi lo chiamano ebreo per questo, mentre i francesi lo considerano un arabo per il nome strano. È un alieno ovunque vada, ma ha dalla sua un carattere espansivo e una sana curiosità che gli fanno superare tanti inconvenienti.
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Penna a penna. Intervista con l’autore: Eleonora Sottili

EleonoraSottili1. Quando ha cominciato a scrivere? Era sicura di voler diventare una scrittrice?
A me è sempre piaciuto scrivere, in seconda elementare, componevo poesie. Poi ho anche scritto un romanzo, di cui non ricordo molto, ma so che parlava di pecore. Il motivo di questa ambientazione agreste mi è tuttora sconosciuto, e comunque per molto tempo quel romanzo sulle pecore è rimasto la mia opera più valida, perché nella fase adolescenziale ho preso una deriva filosofico-sentimentale terribile: tutti i miei personaggi stavano seduti al tavolino e parlavano tra loro. Erano pagine di una noia mortale.
Nonostante le oscillazioni del mio talento, ho sempre sognato di diventare una scrittrice, ma ho impiegato diversi anni e ho fatto moltissimi giri prima di riuscire a capire come si faceva.
Continuava a essere un sogno dietro a tutto il resto. Mi sono laureata in psicologia, ho lavorato in ufficio, in ospedale, ho insegnato, ma continuavo a dirmi: da grande voglio fare la scrittrice. Il problema maggiore credo fosse diventare grande. Continua a leggere

IL LADRO DI NEBBIA di Lavinia Petti

IlLadrodiNebbiaLo ammetto: i libri che parlano di libri, di scrittura e di scrittori sono il mio pallino. Ne ho una libreria piena e ancora non mi bastano. Perciò, quando ho visto “Il ladro di nebbia” di Lavinia Petti e ne ho scorso le prime righe, ho subito voluto farlo mio. Più ancora dopo che il libraio, vedendomi già irretita dalla prima pagina, ha esclamato alle mie spalle “stupendo!” senza troppi giri di parole. Trattandosi di un giovane libraio vecchio stampo, di quelli che i libri prima di venderli li leggono anche, ho deciso di fidarmi carica di aspettative. Chi fosse questa Lavinia Petti non ne avevo idea. “Un’esordiente”, mi aveva detto, aggiungendo curiosità alla mia voglia di leggere. Così, una volta a casa, quando ormai fuori era buio, ho ripreso la lettura pronta a finirla quella notte stessa.
Ma qualcosa non ha funzionato e l’incantesimo si è rotto. Continua a leggere

Penna a penna. Intervista con l’autore: Carla Menaldo

CarlaMenaldo1. Quando ha cominciato a scrivere? Era sicura di voler diventare una scrittrice?
Ho sempre avuto una passione per la scrittura, ho cominciato a scrivere poesie come molti adolescenti, ma volevo diventare un medico. Non così agli opposti, pensandoci bene, visto che nei secoli medicina e scrittura sono spesso andati a braccetto.

2. Che cosa scriveva all’inizio? È stata incoraggiata da qualcuno e se sì, da chi?
A parte le poesia, brevi racconti spesso in forma diaristica. Ho trovato insegnanti di lettere molto bravi sia alle scuole medie che al liceo, che hanno sempre incoraggiato la mia espressione letteraria. Unitamente a questo ho partecipato a vari concorsi letterari classificandomi spesso tra i primi posti. Continua a leggere

LA QUESTIONE PIÙ CHE ALTRO di Ginevra Lamberti

la-questione-piu-che-altro-d466La questione più che altro è il libro d’esordio di Ginevra Lamberti. E’ la storia di Gaia, che poi tanto Gaia non è. Studentessa fuoricorso del Dipartimento di Studi Euroasiatici, in procinto di laurearsi con una tesi sul tagiko, Gaia vive con la madre (la genitrice) nella valle circondata da ricordi (nonna-di-su, nonna-di-giù, nonno-di-su,  nonno-di-giù) e persone reali più o meno strambe. Il padre (il genitore), malato, vive con Marta (la compagna) in un paese vicino Treviso.
Gaia studia, lavoricchia, si laurea, cerca lavoro, non trova lavoro, trova lavoro. Si trasferisce dalla valle a Mestre, da Mestre a Venezia.

Come dicevo, mancano diciannove giorni a Natale, venticinque a Capodanno, qualcosa di piú e di ancora imprecisato all’ultimo esame. Adesso torno dentro a studiare, perché sto bene, non so se l’ho già detto, la questione è piú che altro che alla lunga mi annoio di noia mortale a stare nella valle dove vivo.

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Penna a penna. Intervista con l’autore: Stefano Cosmo

StefanoCosmo1. Quando ha cominciato a scrivere? Era sicuro di voler diventare uno scrittore?
Ho iniziato da ragazzo, non ricordo di preciso quando. A scuola mi divertivo a trasformare i temi normali in storie strane, appena ne avevo occasione. Alle superiori scrivevo battute comiche ma adoravo i gialli classici, quelli che in gergo si chiamano “a scatola chiusa”.
Non ero sicuro di voler diventare uno scrittore, più che altro perché non avevo le idee chiare su cosa volevo diventare. Un po’ come ora.

2. Che cosa scriveva all’inizio? È stato incoraggiato da qualcuno e se sì, da chi?
Il mio primo romanzo è stato un noir. Ci sono state due figure molto importanti che mi davano e mi danno la carica giusta per continuare a scrivere: la mia famiglia e Massimo Carlotto. Continua a leggere

SEMBRAVA UNA FELICITÀ di Jenny Offill

sembrava-una-felicità-jenny-offill-NNERaccontare una storia d’amore, un matrimonio, una vita e le sue difficoltà, una storia come tante. Ecco, Jenny Offill con Sembrava una felicità fa questo. In modo magistrale.

È un romanzo caratterizzato da una narrazione meticcia, fatta di una prosa diaristico-poetica sprigionata dai pensieri della protagonista che ci fa attraversare la sua esistenza balbettando parole sue che si mischiano a citazioni aperte e nascoste, mimetizzate in questa narrazione anomala e in apparenza disarticolata.

La protagonista è una donna ambiziosa che vuole diventare una scrittrice bravissima, e infatti: “il giorno in cui ho compiuto ventinove anni ho consegnato il mio primo libro. Se non mi sono ingannato…. Ma poi le cose accadono, e stravolgono i piani, anche i meglio congegnati.

Il mio piano era di non sposarmi mai. No, io volevo diventare un mostro d’arte. Le donne non diventano mai mostri d’arte, perché i veri mostri d’arte si preoccupano solo d’arte e mai di cose terrene. Nabokov non si chiudeva nemmeno l’ombrello, era Vera che gli leccava i francobolli.

Incontra un uomo e si sposa e ha una figlia e finisce per tenere corsi di scrittura.

Alcune donne lo fanno sembrare così facile, quel modo di scrollarsi l’ambizione di dosso come se fosse un cappotto costoso che non va più bene

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Penna a penna. Intervista con l’autore: Alessandro Toso

AlessandroToso1. Quando ha cominciato a scrivere? Era sicuro di voler diventare uno scrittore?
Quando mia moglie, durante un viaggio in auto, mi ha detto una cosa del tipo “Tu sei un cretino. Ti ostini a fare un sacco di cose per le quali non hai alcun talento, e non fai l’unica che potrebbe davvero riuscirti bene. Scrivere”. Come spesso capita, aveva ragione. Ho capito qualche mese dopo che non avrei avuto scelta, da quel momento sarei DOVUTO diventare uno scrittore; che lo volessi, o meno.

2. Che cosa scriveva all’inizio? È stato incoraggiato da qualcuno e se sì, da chi?
Come capita spesso ho cominciato con racconti più o meno lunghi, che ho sottoposto a un’amica che all’epoca lavorava all’Ufficio Diritti di RCS. Le sono piaciuti al punto da propormi di diventare la mia editor. Dopo il primo romanzo il rapporto si è interrotto (suppongo che si possano subire le ubbie e l’ego di uno scrittore esordiente solo fino a un certo punto), ma il lavoro di palestra e sollevamento pesi metaforici cui mi ha sottoposto è servito tantissimo! Continua a leggere

IL BUIO OLTRE LA SIEPE di Harper Lee

Il buio oltre la siepeL’attesa per l’uscita in Italia del sequel Va’ metti una sentinella prevista per il 19 novembre in edizione Feltrinelli è talmente elevata che mi ha spinto a leggere un classico della letteratura americana: Il buio oltre la siepe (titolo originale “To Kill a Mockingbird”  – Uccidere un usignolo). Conoscevo poco della figura di Harper Lee e i commenti che avevo ricevuto su questo romanzo scritto negli anni ‘60 erano tutti entusiastici.

Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede.

La storia è ambientata nell’Alabama degli anni ’30 in un paese chiamato Maycomb ed è narrata dalla voce sfrontata e innocente della protagonista, Jean Louise detta Scout, una bambina che vive con il fratello più grande Jem, il padre avvocato Atticus Finch (portato sullo schermo nella versione cinematografica da Gregory Peck che con quest’interpretazione vinse l’Oscar) e la governante di colore Calpurnia. Continua a leggere

LA VITA È UNO SCHIFO di Léo Malet

Malet_Fazi_Lavitaèunoschifo Con “La vita è uno schifo” Léo Malet sconfina dal romanzo giallo/poliziesco per inoltrarsi in un terreno ancora inesplorato che sfocerà in un nuovo genere definito noir. Il romanzo racconta la storia di Jean Fraiger, un anarchico che, assieme ad altri collaboratori, cerca di finanziare un progetto rivoluzionario mediante una serie rapine; se tali rapine in una fase iniziale hanno i connotati di espropri proletari, con il passare del tempo diventano semplici modi per un arricchimento personale da parte del protagonista, in particolare dopo che un gruppo di scioperanti si è rifiutato di utilizzare il denaro ottenuto illecitamente per finanziare ulteriori azioni di lotta operaia. Il protagonista comincia così ad accumulare soldi al solo scopo di conquistare Gloria, una donna già sposata di cui si è innamorato. Per un momento pare che proprio la donna potrà essere la chiave di volta per la risoluzione di quel puzzle disordinato che è la vita di Jean, ma, come ben spiega Luigi Bernardi nella Prefazione, nel noir nessun mosaico, in realtà, viene mai ricomposto. Continua a leggere

METROPOLI di Massimilano Santarossa

Metropoli-massimiliano-santarossaIn poche parole: in un futuro ipotetico, l’implosione delle strutture economiche porta alla dissoluzione del mondo, della società per come noi la conosciamo, porta alla quasi totale estinzione del mondo vivente. Gli uomini rimasti vagano combattendo per la vita, nella desolazione, con la speranza di trovare quello che rimane l’unico approdo che possa promettere la salvezza: Metropoli, città-fortezza che metabolizza tutto e che tutto usa per crescere, a partire dai suoi abitanti.

Giunto a Metropoli il protagonista diventerà il cittadino 5.937.178.

“Rimase seduto sull’asfalto bagnato e lucido per ore. La testa tra le mani. La schiena dolorante. Le braccia schiacciate tra le gambe. Si proteggeva dal gelo e dalla pioggia come un animale in punto di morte, abbandonato, con nemmeno la volontà di disperarsi. Dove era il recupero, dove era la salvezza, dove era la speranza cui ogni essere del passato, del presente, del futuro si affidava, erano le nere nuvole ad aver divorato Dio? Si ricordò del foglio con le indicazioni. Lo prese dalla tasca. Le dita gli tremavano, gli occhi faticavano a mettere a fuoco le lettere rosse stampate sulla carta gialla. Cittadino numero 5.937.178, il suo Alloggio del Popolo si trova alla Zona Riposo, Isolato Residenziale alla Periferia Est, Altezza Z, Posizione B 2.2.6. Raggiungibile attraverso Sistema Elettrico di Superficie.

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LA FORMA MINIMA DELLA FELICITÀ di Francesca Marzia Esposito

LaFormaMinima_Cover Luce vive a Milano, Luce vive barricata in casa, perché uscire fa paura. Luce guarda solo il Canale 32, l’unico che la tv riceve, televendite di gioielli giorno e notte. Luce sopravvive. Fino a quando, prima impercettibilmente e poi in modo via via sempre più evidente, qualcosa cambierà. Nella sua routine entra la piccola Viola/Bambina. Viola che non parla ma capisce, Viola che attacca post-it sulla parete, Viola che telefona a Canale 32 e che fa entrare così nella vita di Luce una forma minima di felicità.

Trascorse il tempo così, post-it appiccicato sul vetro sporco, occhi proiettati a chilometri di distanza. Una parte di me ripercorreva nei suoi silenzi l’esatta percezione dell’essere piccoli in un mondo sconfinato. Mi dava le spalle, i capelli raccolti sulla nuca tonda, la pelle trasparente del collo, le suole degli stivaletti a vista sotto i glutei. Toccò con l’indice il vetro, lo fece scorrere come a tracciare una linea, poi si bloccò e riprese in un’altra direzione.

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CASINO TOTALE di Jean-Claude Izzo

Casino totale Jeans-Claude IzzoUgo, Manu e Fabio sono cresciuti insieme nella zona povera di Marsiglia, vicino al porto:

I loro corpi e i loro vestiti sapevano di muffa. L’odore del quartiere. La prima ragazza che baciarono aveva quell’odore perfino in fondo alla gola. Ma se ne fregavano. Amavano la vita. Erano belli. E sapevano battersi.

Hanno condiviso tutto, perfino l’amore per la stessa donna: Lole. Dopo qualche furtarello, iniziano a dedicarsi a rapine vere e proprie, durante una delle quali succede un imprevisto: il negoziante rapinato rimane ferito gravemente. Da quel momento le vite dei tre ragazzi si separano: Manu entra nella criminalità organizzata, Ugo se ne va dalla città e Fabio diventa un poliziotto. A quest’ultimo è affidata la narrazione della storia, a partire da quando, anni dopo l’accaduto, si ritroverà a indagare sulla morte dei due amici di gioventù.
La prima dote che ho riscontrato nel romanzo è stata la scrittura altamente visiva: Marsiglia, per esempio, viene tratteggiata in modo così fortemente cinematografico che più che leggerne una mera descrizione la si vede, nei suoi vicoli e con i suoi sapori.

Ricordavo che Aznavour cantava la miseria è meno dura al sole. Sicuramente non era mai venuto fin qui. Fino a questo ammasso di merda e cemento.

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ELOGIO DELLA LETTURA E DELLA FINZIONE di Mario Vergas Llosa

Elogio della lettura copertinaQuando realizzi che la vita fa schifo, è quello il momento in cui prendi in mano un libro.
Sarà che per me è stato così e in un’età in cui ancora non avevo la consapevolezza per capire che, se amavo tanto leggere, era perché mi ribellavo a tutto quello che mi circondava.
Ma ritrovare questa verità nelle parole di Vergas Llosa è stato consolante.
Molti vedono nella lettura appassionata un modo di evadere, fuggire dalla realtà per rifugiarsi nella finzione e in parte è così, ma c’è dell’altro; un concetto più profondo e sottile che a volte anche chi lo pratica non riesce a cogliere interamente.
Chi cerca nella finzione ciò che non ha, dice, senza la necessità di dirlo, e senza neppure saperlo, che la vita così com’è non è sufficiente a soddisfare la nostra sete di assoluto, fondamento della condizione umana, e che dovrebbe essere migliore”.
Non mi permetto nemmeno di riassumere questo concetto, che peraltro campeggia sulla copertina di questo pamphlet, Vargas Llosa lo ha espresso troppo bene per banalizzarlo. Continua a leggere