SPATRIATI di Mario Desiati

Un ossèquio sulle labbra, un gesto consenziente, una spazzolata alle scarpe: reputazione. Spatriati, Premio Strega 2022, ci conduce di fronte al palcoscenico della vita: esistenze di polistirolo, ipocrisia come sostituto dell’etica, perbenismo (una volta si sarebbe detto “borghese”) surrogato della morale: va di scena la disgregazione della molecola elementare della società tardo capitalista, esplode (o implode?) la famiglia.

Nelle famiglie non esistono segreti, ma solo dei patti dolorosi, a volte miserabili, a volte irrinunciabili, dei ‘non detti’.

Due adolescenti, inquieti ed errabondi, occhi al cielo e sogni colorati, vagano per la provincia di un Sud lunare e polveroso, a cercare una via di fuga, soluzione alla continuità della vita per approdare alla Vita. Si scoprono figli di due adulteri che hanno tessuto, tra la finzione della tribù, una relazione extra-coniugale. Claudia, lancia in resta, in lotta con tutto, un colpo lei uno il Mondo a chi cada per primo; Francesco, remissivo, rassegnato, inconsapevole di ciò che sta dietro allo schermo che il conformismo ha posto innanzi, non in grado di comprendere il suo confuso rifiuto della propria collocazione, come figlio, come credente, come maschio, o cosa?

Poi l’altrove: master in Bocconi per lei, il mondo della produttività che ingurgita, il volere essere soccombe al dovere essere, il desiderio di sembrare fa aggio sulla necessità d’essere, anzi d’Essere. Lui, invece, rimane tra le braccia materne dell’inedia, cullato dalla menzogna, sostenuto dalla falsità, blandito dall’usuale. Poi la deflagrazione, lo spazio aperto diviene autorealizzazione, Francesco si rifugia da Claudia che ora lavora in Germania. Continua a leggere

LO DICIAMO A LIDDY? di Anne Fine

L’amore è un pappone insipido che sobbolle sul fuoco, sempre nutriente, sempre caldo. L’odio invece è una torre incrollabile, una colonna di fuoco. La sua mera energia incandescente può alimentare giorni e giorni di stizza, notti e notti di rancore.

Il sottotitolo del romanzo Lo diciamo a Liddy? di Anne Fine è Una commedia agra. Definizione azzeccatissima per questa storia di legami familiari complicati, di rancori sotterranei, di alleanze e conflitti tra quattro sorelle con caratteri diversi e molto ben definiti: Bridie, assistente sociale, solida custode dei ricordi familiari e grande organizzatrice delle riunioni di famiglia; Heather, professionista arida ed egocentrica; Stella, frivola consumatrice, e infine Liddy, emotiva e fragile. Con i loro mariti, figli, fidanzati, le sorelle Palmer costituiscono un variopinto intreccio di nevrosi, segreti, bugie, equilibri in continuo smottamento e riassestamento. Eppure inseparabili, sempre in contatto, a scambiarsi telefonate, visite, confidenze. A volte, come nel caso di Bridie, a scapito della famiglia che si è creata, alla quale dedica meno energie e meno attenzione. Continua a leggere

TUTTO TORNA di Giulia Carcasi

Ho visto migliaia di film, letto centinaia di libri, senza chiedermi se fossero veri. Mi bastava di una storia che fosse bella. A un’emozione non ho chiesto documenti. Perché non può essere così anche con le persone? Mi sono commosso in un cinema e davanti a una pagina, ma se penso a quando mi sono commosso davanti ad Antonia, mi sento stupido e non riesco a sopportarlo.

Diego, docente all’università di Pisa, vive smarrito tra le sue paure, l’Alzheimer di sua madre che non lo riconosce, la distanza da suo padre, l’assalto dei ricordi amari. Nel cerchio asfittico della sua vita irrompe Antonia. Si incontrano in treno, sulla tratta da Roma a Pisa, e lei lo soccorre durante un attacco di panico.

Mi avevano detto che il passato condiziona il futuro, ma non mi avevano detto che vale anche il contrario: il futuro riscrive il passato, come l’ultima pagina di un romanzo trasfigura tutto quello che è stato letto a tal punto che a volte è necessario rileggere. Stai riscrivendo il passato, Antonia, sei arrivata e ci sei sempre stata.

Con una scrittura al tempo stesso scabra e poetica, l’autrice racconta una storia d’amore, disagio e solitudine. Continua a leggere

L’OPERA di Émile Zola

Era quella, esattamente quella la figura che aveva inutilmente cercato per il suo quadro, e già quasi in posa. Un poco esile, un poco gracile d’infanzia, ma così morbida, d’una giovinezza così fresca! E, sul tutto, seni già maturi. Dove diavolo l’aveva nascosto, la sera prima, quel seno così, che non l’aveva neanche sospettato? Una vera rivelazione!

Romanzo assai curioso e tra i meno conosciuti di Zola, maestro nonché inventore del realismo letterario, L’opera racconta la vita di un artista a Parigi negli anni della rivoluzione artistica portata dall’impressionismo e da tante altre correnti che sottovoce, bisbigliavano parole nuove incomprensibili alla tradizione e al mondo.

E Zola con l’occhio del fotografo ha ripreso e narrato, non solo la vita di un artista in quegli anni, ma anche e soprattutto il rapporto dell’artista con la sua opera. Ma qui non parliamo di un’opera qualsiasi, di una qualsiasi produzione, qui parliamo dell’Opera, quella che secondo l’artista lo rappresenta al meglio,e che è fatta di ripensamenti e di sudore, di incubi e notti insonni, dove la linea è complicata come quella del pensiero: nulla conta tranne Lei. Continua a leggere

NIENTE DI VERO di Veronica Raimo

Negli ultimi vent’anni ho vissuto in maniera schizoide tra Roma e Berlino. O meglio, ho vissuto a Roma continuando a passare dei mesi a Berlino e rimpiangendo il fatto di non viverci. Non c’è alcun motivo reale perché non mi trasferisca a Berlino, ma se mi trasferissi, smetterei di avere un solido rimpianto che mi tiene in vita tutti i giorni.

Con Niente di vero, romanzo pubblicato da Einaudi quest’anno e vincitore del Premio Strega Giovani, Veronica Raimo racconta una famiglia che potrebbe essere proprio la sua. Una famiglia dotata di ordinarie nevrosi, in cui i rapporti sono malsani e disturbati come nella maggior parte delle famiglie. Eppure ne viene fuori un libro divertente, leggero, i cui personaggi, con le loro meschinità, fisime, inadeguatezze, capacità manipolatorie, risultano simpatici e si guadagnano con facilità l’assoluzione di chi legge.

Non importa sapere quanto di vero possa esserci in questo romanzo che ha il sapore di un’autobiografia scanzonata. Potrebbe anche essere tutto inventato, o quasi, come sembra dire il titolo. Ma non è questo quello che conta. La madre, con la sua ansia incontenibile, il padre, con la sua patofobia e la mania di ridefinire gli spazi interni della casa, il fratello sleale, piccolo genio precocissimo e scrittore (anche il fratello dell’autrice è uno scrittore), e infine lei, Veronica, la voce narrante, con le sue difficoltà di adattamento: sono tutti personaggi credibili, raccontati con ironia, le cui vicissitudini non annoiano e incuriosiscono. Continua a leggere

I PASSI DI MIA MADRE di Elena Mearini

Ferma, davanti allo specchio, con la doppia ruga in mezzo agli occhi, mi accorgo di essere sulla strada di mia madre, io che le ho sempre rimproverato il cammino e mi domandavo come potesse avere piedi tanto stupidi da non imparare mai il tragitto dal suo mondo al mio. Come lei, anch’io inseguo bugie, le raggiungo e procedo loro accanto.

Agata, la protagonista di questo breve e intenso romanzo di Elena Mearini, si è persa, senza sapersi più ritrovare. Si è persa da quando sua madre è uscita di casa, una sera ‒ una delle tante sere in cui annunciava che stava uscendo con un’amica ‒ e non è più tornata. Ma forse Agata si era già persa prima, nella contemplazione desolata di una madre a disagio nel ruolo di madre, una moglie a disagio nel ruolo di moglie. Non si ritrovava nel suo sguardo assente, disapprovante, nella sua disattenzione.

Se, a questo punto, state pensando alla solita trama che ruota intorno a una famiglia disfunzionale, vi sbagliate, perché l’autrice ci sorprende con un’idea originale. Continua a leggere

LA GIORNATA DI UNO SCRUTATORE di Italo Calvino

… Nel crudele gergo popolare, poi, quel nome era divenuto, per traslato, epiteto derisorio per dire deficiente, idiota, anche abbreviato, secondo l’uso torinese, alle sue prime sillabe: cutu. Sommava dunque, il nome «Cottolengo», un’immagine di sventura a un’immagine ridicola (come spesso avviene nella risonanza popolare anche ai nomi dei manicomi, delle prigioni), e insieme di provvidenza benefica, e insieme di potenza organizzativa, e adesso poi, con lo sfruttamento elettorale, d’oscurantismo, medioevo, malafede…

Ambientato nel 1953, questo romanzo breve (o racconto lungo), racconta di una crisi profonda, al limite dell’esistenziale, di un uomo e dell’umano, in una Italia che affronta, nuovamente, le elezioni.
In questo romanzo l’autore mette a nudo, scompone e stravolge la politica e l’etica che dietro essa, troppe volte, si nasconde fino a dissolversi. Se ne Il sentiero dei nidi di ragno Calvino ci faceva vedere il mondo, cioè la guerra, attraverso gli occhi di Kim, un bambino, ora lascia il lettore in balia di uno scrutatore, che è anche un intellettuale comunista, per raccontare il dopoguerra italiano. Continua a leggere

Fresco d’autore: La misura della distanza. Intervista con Gabriella Bampo.

 

Sinossi
Venezia, anni Settanta. Isabella conosce un giovane studente persiano, Farid, di cui si innamora perdutamente. Nonostante l’opposizione delle famiglie si sposano e si trasferiscono a Teheran. Isabella resta incinta, ma per il parto la coppia sceglie l’Italia. Di ritorno in Iran, le differenze culturali si fanno sentire e i conflitti con Farid diventano frequenti. La donna si sente prigioniera di un meccanismo di sottomissione che mina la fiducia in se stessa. Nel 1979 scoppia la rivoluzione islamica e la coppia fugge in Italia. Il matrimonio, già in crisi, si spezza quando Isabella trova la forza per ribellarsi. Dopo qualche anno la donna reincontra un amico persiano, ex rivoluzionario. Parleranno del passato, della malinconia che ormai colora la loro vita, della perdita degli ideali.

INTERVISTA
Questo libro nasce da una storia vera, la tua storia. Quando hai sentito l’urgenza di scriverla e come hai fatto a prendere le distanze dal tuo vissuto personale per scrivere la storia del tuo romanzo?
Avevo intenzione di scriverla da anni, l’ho avuta da sempre, ma dopo i primi tentativi mi sono resa conto di non essere in grado di esercitare un sufficiente distacco da alcuni fatti della mia vita. Ho dovuto aspettare a lungo, non senza scrivere, anzi, scrivendo furiosamente, perché quando si è coinvolti in una storia e i ricordi sono ancora freschi c’è bisogno di metabolizzare. Ho avuto anche la tentazione di lasciare, mi cimentavo con racconti di altro genere, ma continuavo a pensarci, la storia aveva un’urgenza che mi pressava. Volevo riflettere sulla storia particolare che avevo vissuto e il miglior modo di approfondire per me, è scriverne. L’argomento principale su cui mi interrogo ancora è se sia possibile un amore fra due persone di culture diverse.

Negli anni settanta ne eravamo certi, i giovani, coinvolti nel movimento di ribellione culturale del sessantotto che aveva messo in discussione alcuni presupposti della società, infiammati dalle idee nuove e dall’entusiasmo giovanile, erano convinti di poter cambiare il mondo. Si aprivano prospettive inimmaginabili. Anche l’amore era sdoganato dai pregiudizi e dalle differenze sociali e culturali, soprattutto fra gli studenti delle università. A Venezia le facoltà di lingue straniere e soprattutto di architettura accoglievano studenti greci, etiopi, iraniani, che ho frequentato in varie occasioni, partecipavano ai collettivi politici portando avanti principi di giustizia e di democrazia con la speranza di trasmetterle e perseguirle nei loro paesi di origine. Era una parte del mondo che arrivava vicino a me e ci sentivamo tutti sullo stesso piano. Cittadini del mondo.

Come sia riuscita a prendere il distacco, non so. È stato un lavoro molto lungo su me stessa, aiutata dal tempo che attenua le situazioni critiche e stende una patina di tolleranza su vicende del passato, anche su quelle che hanno provocato dolore .

Prendere la distanza dalla propria storia è importante, penso sia comune a tutti gli autori che scrivono di vissuti personali, è un discorso molto lungo, ma per vedere i fatti un’altra prospettiva bisogna mettersi in discussione, ritrovare una certa serenità, ricostruire il passato presuppone anche una certa forza d’animo. L’ho dovuta trovare.

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MEMORIE DI ADRIANO di Marguerite Yourcenar

La convenzione ufficiale vuole che un imperatore romano sia nato a Roma, ma io sono nato a Italica; a quel paese arido e tuttavia fertile ho sovrapposto in seguito tante regioni del mondo. La convenzione ha del buono: dimostra che le decisioni dello spirito e della volontà hanno la meglio sulle circostanze. Il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su se stessi: la mia prima patria sono stati i libri. In minor misura, le scuole.

Chissà se mentre scriveva Le memorie di Adriano la scrittrice Marguerite Yourcenar era consapevole di scrivere uno dei libri capolavoro della letteratura del ‘900, quello che è sicuro è che ci è riuscita.
Pubblicato nel 1951, Le memorie di Adriano è l’incontro perfetto tra due delle più nobili e fondamentali materie umanistiche, letteratura e filosofia.
Difficile da descrivere, quasi impossibile raccontarlo, il romanzo di Marguerite Yourcenar ci porta oltre la vita proprio quando sta per finire, quando ci regala il suo ultimo scherzo nostalgico per ricordarci che comunque siamo ancora vivi e che comunque le cose possono ancora cambiare. Continua a leggere

Fresco d’autore: Il club dei perdenti. Intervista con Giulia Rossi

Il Club dei PerdentiPremessa
Conosco Giulia da parecchi anni ormai, da quando frequentava il laboratorio di scrittura del Circolo Tobagi a Mestre nel 2014.  Da allora Giulia ha fatto molta strada nel suo percorso di scrittura, due anni fa ha pubblicato il suo primo romanzo “È così che si fa”. E oggi siamo qui a parlare del suo secondo romanzo, “Il club dei perdenti”.

Sinossi

È una gelida notte d’inverno. In una cittadina di provincia, un senzatetto dorme al riparo d’un porticato, quando un gruppo di ragazzi si avvicina e gli dà fuoco. Salvato per miracolo, il barbone viene ricoverato in terapia intensiva, ma la sua identità rimane un mistero: non ha con sé documenti e nessuno va a chiedere di lui all’ospedale. Una delle poche cose salvate dal fuoco è il suo zainetto, dove c’è una copia del romanzo del giovane scrittore Lorenzo Fabbi.
Lorenzo apprende la notizia casualmente, dal telegiornale, mentre cena. Non dà importanza al ritrovamento del suo libro: il successo è stato tale da giustificare la sua presenza nello zaino di qualsiasi sconosciuto. In seguito, però, emergono altri particolari e in lui si insinua il dubbio: quel senzatetto è davvero un estraneo o la storia raccontata nel romanzo li lega a doppio filo? Una storia ispirata all’estate di vent’anni prima, quando, per vincere la noia delle vacanze in città, Lorenzo aveva fondato il Club dei perdenti insieme con altri tre ragazzini come lui: Sara, Giacomo e soprattutto Ema, il suo migliore amico.

 

Intervista
Per me questo romanzo è un inno d’amore per il quartiere Piave, a cui anche lo dedichi. Mestre e in particolare il quartiere Piave qui diventa palcoscenico ma anche personaggio, che si muove nella Storia insieme ai suoi abitanti che vivono le storie da te raccontate. Era questo il tuo intento? Quando è nata l’esigenza di raccontare una storia ambientata nel quartiere?
Sì, sicuramente la città, e in particolare il quartiere Piave dove sono cresciuta e dove ho scelto di vivere oggi, voleva essere nel romanzo qualcosa in più di un semplice teatro delle vicende. Non è un caso forse se le due parti in cui si divide il romanzo, tra presente e passato, prendono avvio da due fatti che riguardano proprio la città: nel passato da questo gruppo di ragazzini che pensa di aver intravisto dietro al degrado di Mestre lo stesso Male, inteso proprio come entità malvagia, contenuto tra le pagine di IT. Nel presente da un fatto di cronaca che fortunatamente è solo stato immaginato ma purtroppo potrebbe essere verosimile: un senzatetto cui viene dato fuoco vicino alla stazione e la cui identità risulta un mistero, dal momento che non ha con sé documenti quando si salva dall’incendio e viene ricoverato.
Il romanzo vuole certo essere una fotografia del non sempre stato roseo delle cose qui, ma anche un atto di riscossa e un inno di amore, è vero. Si parla sempre del marcio che c’è tra queste vie, e di marcio ce ne è eccome, ma non siamo altrettanto bravi a raccontare i lampi di bellezza che si celano dietro al grigiore e ai fatti di cronaca. Bellezza che emerge forse ancor più dirompente proprio in quanto ribellione a ciò che qui non va. Come scrivo nel romanzo, appena esci dalla via principale qui c’è un mondo rionale tutto da scoprire, provinciale nel senso positivo che do io all’essere provinciale.

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CALIGOLA: IMPERO E FOLLIA di Franco Forte

Gaio sapeva di essere il meno considerato tra i figli di Germanico, forse al pari delle sue sorelle. Ma non solo non si infuriava per questo, anzi portava pazienza e cresceva all’ombra di tutti, imparando quanto più poteva e sfruttando la sua capacità di aggirarsi per il palazzo imperiale come un fantasma per spiare chiunque gli capitasse a tiro. Non dimenticava la promessa che aveva fatto a Germanico: l’avrebbe vendicato, avrebbe restituito dignità alla sua famiglia, convinto di essere il solo, tra i suoi fratelli, che avrebbe potuto tenere testa a Tiberio e ai suoi scagnozzi.

Tra i tanti imperatori di Roma, Franco Forte sembra divertirsi e occuparsi solo di quelli più folli, come nel suo romanzo Caligola: Impero e follia e come aveva già fatto nel suo romanzo Roma in fiamme, nel quale ci racconta la storia dell’imperatore-poeta Nerone.

Quello che la storia ci tramanda di Caligola è la sua follia che fece di un cavallo un senatore ma, quello che quasi sempre viene taciuto, è che molto spesso la rivoluzione, l’opposizione e la resistenza sono gesti simili e degni solo dei folli. Continua a leggere

LA DISUBBIDIENZA di Alberto Moravia

Sotto la pioggia dei rimproveri e dei cattivi voti, provava una soddisfazione particolare, sembrandogli che quei rimproveri fossero, in realtà, elogi e quei cattivi voti buoni voti per la condotta che ormai aveva deciso di tenere. Ma nello stesso tempo non poteva fare a meno di sentirsi invaso da un’amarezza profonda, al pensiero che la sua condizione di scolaro peggiorava ogni giorno e presto sarebbe diventata irreparabile.

L’adolescenza è un periodo difficile per tutti, lo sanno bene i genitori che si trovano a combattere quasi con un altro figlio, la brutta copia di quello che, solo ieri, era un tranquillo e adorabile bambino. Ma poi scatta qualcosa, una crepa inizia a spaccare il verro, a impossessarsi centimetro dopo centimetro della bellezza dell’equilibrio, il rumore sordo della sua avanzata rimbomba ovunque, nulla può fermarla, e inevitabilmente… frammenti! Tutto si trova distrutto, distorto, tutto è confuso, l’adolescente è inaccessibile persino a sé stesso. Continua a leggere

FRANCO FORTINI (10 settembre 1917 – 28 novembre 1994)

FOGLIO DI VIA

Dunque nulla di nuovo da questa altezza
Dove ancora un poco senza guardare si parla
E nei capelli il vento cala la sera.

Dunque nessun cammino per discendere
Se non questo del nord dove il sole non tocca
E sono d’acqua i rami degli alberi.

Dunque fra poco senza parole la bocca.
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade.

Dove una folla tace e gli amici non riconoscono. Continua a leggere

IL DEMONE A BESLAN di Andrea Tarabbia

Voglio dire che non so perché scrivo. Nel caso in cui qualcuno leggesse questa cronaca, so perfettamente che potrà usarla contro di me non appena se ne presenterà l’occasione. Ma a questo punto non ho niente da perdere – io non ho mai avuto niente da perdere-, e dunque scrivo […] Scrivo piccolissimo per farci stare il maggior numero di cose possibile.

Vincitore della 57esima edizione del premio Campiello con Madrigale senza suono, Andrea Tarabbia non ha bisogno di presentazioni. Tuttavia, ho scelto di leggere il meno famoso Il demone a Beslan, (Bollati Boringhieri), perché incuriosita dalla “seconda vita” che l’autore ha voluto regalare a questo romanzo, pubblicato per la prima volta nel 2011, ma anche e soprattutto perché rappresenta il suo “romanzo-matrice”, il punto da dove ha sviluppato un’idea personale di letteratura (https://andreatarabbia.wordpress.com). Continua a leggere

TEMPO DI UCCIDERE di Ennio Flaiano

Ero meravigliato d’essere vivo, ma stanco di aspettare soccorsi

Fin dalla prima riga Flaiano, abile realista, ci introduce nel mondo della coscienza, quel mondo allegorico, confuso, enigmatico che solo la malinconica Africa avrebbe potuto accogliere e raccogliere. L’Africa esoterica, lontana, amante di notte e nemica di giorno, colonizzata dai fascisti, cancellata nel suo significato dalla mano dell’uomo che ne confonde i contorni, ospite alieno di una natura che non ha niente a che spartire con lui. Ma per Flaiano l’Africa è tutto tranne uno spazio geografico o il luogo dei vincitori: l’Africa è allegoria, posto in cui la coscienza può compiere il suo viaggio spennellato di dubbi, errori, sentieri e scorciatoie mortali; e così la mente del protagonista si arrampica tra congetture, illusioni e pensieri. Il caldo che soffoca e accende le voglie, la città di A così pittoresca da sembrare un’allucinazione e un protagonista lontano, chiuso nell’enigma della natura, inghiottito da tutto ciò che lo circonda e come chi, cade nelle sabbie mobili e dimenandosi per uscirne ne rimane sempre più invischiato, così lui, che si dimena e si tormenta per fuggire, per correre e salvarsi da sé stesso. E poi l’apparizione della donna, di Miriam, gazzella africana dal turbante bianco, di lei poche cose: una pozzanghera che la lava, la nudità selvaggia del suo corpo e il rimorso che s’incarna nel dubbio. Dopo Miriam è tutto un equivoco che lo porterà fino al silenzioso, e per questo inquietante, Johannes curatore di sensi di colpa e padre di Miriam. Continua a leggere