ROMA RACCONTATA DA DENTRO: INTERVISTA A LIVIO CURATELLA

Livio Curatella, romano che più non si potrebbe, ama raccontare storie. Nei suoi libri si sente la passione dello scoprire e del narrare frammenti di vita. In questa intervista, in particolare, risponde alle mie domande su due sue opere pubblicate dalla casa editrice indipendente Chipiuneart Edizioni: Facce e martello (2018) e Carne di Roma (2024).
Una Roma personificata, viva, di carne appunto, che l’autore fa parlare così, nel brano che apre la sua più recente pubblicazione:

Oltre a guardarvi ho anche una voce, e decidete voi quale timbro posseggo dopo aver passato millenni sopra e sotto questo terreno.
Sono fatta di tante sostanze e sono vista da voi come appaio, cioè di marmo bianco e tufo, circondata da fontane e alberi secolari, monumenti millenari, sterminate periferie, dove tutto ha una storia, dove ogni pezzo di me racconta qualcosa, ma sono anche carne, sì, quella carne che voi sentite in un semplice contatto delle vostre membra con il mondo.

Livio, la Roma che racconti è tutt’altro che convenzionale. Non è quella dei turisti, non è quella degli studiosi di storia dell’arte, degli archeologi, dei giornalisti di cronache politiche. Non è neppure la Roma del cinema (se non, forse, quella pasoliniana). È una Roma quotidiana, periferica, con le storie di chi la abita, con i volti e le voci di Facce e martello, con i personaggi di Carne di Roma, due libri che raccontano in modo originale molte storie: nel primo, ogni ritratto o episodio parte da (o ruota intorno a) un osservatorio ‒ l’officina da carrozziere in cui lavorano un padre e i suoi due figli ‒ che consente il contatto con tante persone diverse, con un intero quartiere, il Quadraro. In entrambi i libri ci parli di una Roma marginale, poco nota ma viva e pulsante. Quando e come hai iniziato a pensare di voler scrivere della Roma che conosci e, mi pare di poter dire, ami? In altre parole: si tratta di progetti che hai coltivato per anni, prima di arrivare all’opera compiuta e alla pubblicazione?  

Come sai, ma non tutti lo sanno, ho lavorato in quell’officina, in quel caso uno dei miei sensi ha avuto il sopravvento; infatti, non ho potuto far altro che ascoltare e, per non disperdere le parole, i fatti, l’anima di quel posto, ho provato a metterli su carta.

Quel libro, Facce e martello, è frutto di una costruzione lunga che mi ha permesso di imparare a raccontare e di mettere in scena qualcosa… almeno spero. Carne di Roma invece è un’elaborazione di racconti, che anche qui ascoltavo, nelle strade, dalle persone normali, ma per me eccezionali. Poi ho pensato a Roma; che in Facce e Martello era una Roma dentro, diretta, invece in Carne di Roma è spettatrice, osservatrice, un’occulta regista,  ma anche protagonista. Protagonista perché si affida ai suoi abitanti, alle sue formiche, o api, che lavorano, lottano, vincono e perdono nel quotidiano, una Roma anche qui raccontata da dentro, attraverso racconti semplici che però ne fanno “carne”, l’anima di una città. Qui ho avuto bisogno di uno “straniero” per guardarla negli occhi, Roma. Tutto si è illuminato quando ho pensato a chi viene a trovarci, a scoprire le bellezze, così ho cercato di capire chi fossero i protagonisti che animano  questa grande “Dea Roma” visitata ma, ahimè, non conosciuta, che si esprime e ci parla con la voce e il timbro dei suoi abitanti, persone comuni che sono il suo sangue, la sua linfa.

Che spazio occupa la scrittura nella tua vita? Scrivi in modo costante, scrivi quando trovi il tempo, scrivi quando ne avverti l’urgenza? 

Scrivo quando penso di poter raccontare una cosa che mi colpisce lo stomaco, che mi stimola. Scrivo quando ne sento il bisogno, ogni tanto, quando le idee convergono e già sono diventate una storia pronta, finita. Il resto, cioè tutto il giorno, lo passo in giro a lavorare nei cantieri, nelle officine, in mezzo alla gente e sono più preso da questo teatro che dalla scrittura, ma allo stesso tempo elaboro senza saperlo.

Roma è magnifica, straordinaria, diversa da tutte le altre città. Ma ha anche difetti e limiti. Di vivibilità, dice chi ci abita. Tu che la ami, riesci a parlare anche dei suoi lati meno splendenti? 

Roma è così: splendida e mendicante, cafona e gentile, piena d’acqua. La si può vivere come se si trattasse di un piccolo paese, come una metropoli, come n’impiccio, ma se si possono scegliere i tempi d’uscita, se elimini il traffico, se non segui la massa puoi viverci bene, se vuoi un buon cibo puoi scegliere i mercati con i contadini che ti portano i loro frutti. Roma bisogna saperla scegliere, e respirarla per quello che è. Bisogna anche difenderla dal turismo di massa che spolpa il centro e la fa diventare una Disneyland, come la splendida Venezia, la stupenda Firenze. Si salva ancora, perché è immensa… tutte queste cose sono il risultato di scelte politiche che dovevano essere fatte prima. Lo sai che dico sempre: che le città  sono come le nostre case, belle nel salone dove si accolgono gli ospiti, per apparire sgargianti, però noi viviamo nei cessi di quelle case… volutamente, per soldi, per cupidigia. Ognuno fa quel che vuole e preferisco non giudicare; però è questo che succede.

Hai nuove opere in cantiere?

Sì, il prossimo libro narrerà la storia di due persone che vivono nella differenza di venti centimetri. I venti centimetri sono lo scalino che li divide: lei disperata e barbona, lui che invece sale quello scalino e cerca di non finire nell’altro, lui che si confronta con lei, ma spesso la situazione si ribalta. Una storia più intima, che indaga chi siamo in una Roma che è solo la scenografia.

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