SCRIVERE È UN TIC di Francesco Piccolo

A trent’anni dalla sua prima pubblicazione per minimum fax, Einaudi ripropone Scrivere è un tic, il primo libro di Francesco Piccolo.

Il sottotitolo I metodi degli scrittori è chiaro sul contenuto, infatti in questo centinaio di pagine Francesco Piccolo ordina una specie di sua personale collezione di citazioni di scrittori che parlano del loro rapporto con la scrittura, di cosa significa essere scrittori e di come è scandita la giornata di uno scrittore.

Credo che Scrivere è un tic, per chi lo legge adesso, possa continuare a raccontare con una certa spietatezza la vita quotidiana di uno scrittore e i vari modi in cui mette in atto il suo sforzo creativo – e possa così essere utile sia a chi è curioso di fare un giro nel mondo della scrittura, sia a chi ha il desiderio di raccontare e vuole capire come lo fanno gli altri. È allo stesso tempo inquietante e rassicurante, perché rende la scrittura un mestiere comprensibile in cui c’è bisogno di fatica e costanza come in qualsiasi altro mestiere. È una rapida terapia di educazione creativa.

Se fosse uscito oggi per la prima volta potremmo dire che è l’ennesimo libro che parla di scrittura scritto da uno scrittore, ma nel 1994 il panorama editoriale era ben diverso rispetto a oggi e i libri sulla scrittura come questo erano merce rara sugli scaffali delle librerie.

Il libro non è cambiato, quasi nessun rimaneggiamento. Quasi perché in verità è stata rimaneggiata l’introduzione, che comunque nel contenuto rimane fedele alla precedente edizione. Insomma, potremmo dire una ristampa quasi anastatica.

Sono dieci capitoli seguiti da una appendice che raccoglie le note bibliografiche degli scrittori citati, più l’introduzione. Ogni capitolo ha un titolo e una specie di sottotitolo, una citazione che a suo modo condensa il significato dell’intera sezione.

Le citazioni su cui è costruito il testo, hanno la particolarità di essere democratiche. Piccolo non fa
distinzione tra scrittore e scrittore, non gli importava quali scrittori citasse, importava solo che fossero scrittori. Questa per me è una nota positiva che arricchisce il libro.

Quel che salta facilmente agli occhi è che si può scrivere per dieci ore o tre, forse anche per una sola ora, ma tutti i giorni. Sembra questa la vera preoccupazione degli scrittori e il loro mezzo per non lasciare andare via la scrittura come se fosse qualcosa di istintivo e di incontrollabile; l’unico modo per tenerla sempre sotto controllo.

Un altro aspetto da mettere in evidenza è quanto insista sul considerare la scrittura un lavoro vero, al pari di tutti gli altri lavori. Questo significa costanza, abnegazione, dedicare il proprio tempo e le proprie energie a scrivere e riscrivere e ancora a scrivere, perché se è vero che non esiste l’ispirazione e il genio è molto raro, per scrivere bene si possono affinare tecniche come per qualsiasi altro mestiere.

Se per quasi tutto il libro si insiste sull’importanza del metodo, sulla sistematicità del lavoro, fino a dire: “Ce l’ho messa tutta a costruire un’immagine di uno scrittore-artigiano dedito al sacrificio”, proprio alla fine l’autore sembra cambiare le carte in tavola dedicando l’ultimo capitolo al perdere tempo, ma non c’è nessuna contraddizione. La creazione letteraria ha bisogno di due gambe su cui muoversi, una è il metodo, l’altra è proprio il tempo, l’ozio.

Il mestiere di scrittore è un mestiere dove si perde anche tempo. Anzi, perdere tempo è cosa necessaria per chi scrive. Questo concetto, che sembra antitetico alla fatica creativa, è invece il suo naturale accompagnamento: uno scrittore deve saper perdere tempo, perché è necessario per la ricarica di energia, è necessario per pensare, o per non pensare piú a un passaggio ossessivo. Scrivere è faticoso perché bisogna pensare molto, e se uno è sempre indaffarato non può farlo. Bisogna avere il coraggio di oziare. Di solito siamo soddisfatti quando abbiamo la giornata impegnata, dalla mattina alla sera. Lo scrittore dovrebbe fare il contrario, cioè svuotare la vita da impegni e lasciare spazio alternativamente alla scrittura e all’ozio.
Proust diceva che il lavoro e l’ozio sono due momenti della creazione.

Scrivere è un tic rimane un libro attuale, che riesce ancora a emergere in mezzo al mare di manuali di scrittura che in questi anni sono nati, un libro che può essere preso in qualsiasi momento per aprirlo anche a caso e leggere anche solo qualche riga o qualche pagina, un libro adatto a chi si accinge a scrivere, come a qualsiasi lettore un minimo curioso.

SCRIVERE È UN TIC
Francesco Piccolo
Einaudi (L’Arcipelago Einaudi)
pp. 128
euro 14

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