Un ossèquio sulle labbra, un gesto consenziente, una spazzolata alle scarpe: reputazione. Spatriati, Premio Strega 2022, ci conduce di fronte al palcoscenico della vita: esistenze di polistirolo, ipocrisia come sostituto dell’etica, perbenismo (una volta si sarebbe detto “borghese”) surrogato della morale: va di scena la disgregazione della molecola elementare della società tardo capitalista, esplode (o implode?) la famiglia.
Nelle famiglie non esistono segreti, ma solo dei patti dolorosi, a volte miserabili, a volte irrinunciabili, dei ‘non detti’.
Due adolescenti, inquieti ed errabondi, occhi al cielo e sogni colorati, vagano per la provincia di un Sud lunare e polveroso, a cercare una via di fuga, soluzione alla continuità della vita per approdare alla Vita. Si scoprono figli di due adulteri che hanno tessuto, tra la finzione della tribù, una relazione extra-coniugale. Claudia, lancia in resta, in lotta con tutto, un colpo lei uno il Mondo a chi cada per primo; Francesco, remissivo, rassegnato, inconsapevole di ciò che sta dietro allo schermo che il conformismo ha posto innanzi, non in grado di comprendere il suo confuso rifiuto della propria collocazione, come figlio, come credente, come maschio, o cosa?
Poi l’altrove: master in Bocconi per lei, il mondo della produttività che ingurgita, il volere essere soccombe al dovere essere, il desiderio di sembrare fa aggio sulla necessità d’essere, anzi d’Essere. Lui, invece, rimane tra le braccia materne dell’inedia, cullato dalla menzogna, sostenuto dalla falsità, blandito dall’usuale. Poi la deflagrazione, lo spazio aperto diviene autorealizzazione, Francesco si rifugia da Claudia che ora lavora in Germania.
Comincia la seconda parte di Spatriati, Germania: regno di avanguardie, post-capitalismo, post-consumismo, post-rivoluzione sessuale, post-tutto; sperimentazioni, Claudia con una ragazza anch’essa in fuga, Francesco con un ragazzo figlio riottoso dell’esistenza. Sgorga la vita fluida, collocata oltre le colonne d’Ercole del convenzionale, a nuotare nelle illimitate notti berlinesi.
Il tentativo di evasione, la lima del rigetto del concetto di Natura nei rapporti umani, impone una visione di sé stessi mediata dal desiderio. La trattazione però diviene asfittica, il linguaggio afono, perde d’incisività, la fabula è forzata, di maniera, vuol provocare il lettore con vetusti déjà vu, i fotogrammi risultano velleitari, spari a salve, non scandalizzano né fanno riflettere.
Come nella prima parte dell’opera è la famiglia che gioca da catalizzatore, come il male in Dostoevskij o il denaro in Scott Fitzgerald, nella seconda parte tale ruolo è ricoperto dal sesso, ma lo sviluppo è meno riuscito, s’induce a un canone visto e rivisto.
Il significante è ben impostato, soprattutto nella prima parte: la frequenza delle descrizioni –molto liriche– è quella giusta, né troppo né troppo poco; per dirla ancora con Roland Barthes, il linguaggio è un secondo manufatto, non ancillare, di un’opera letteraria, non mero strumento e Desiati mostra buona capacità di utilizzare la scatola degli attrezzi dello scrittore.
…finché una lingua estranea, dura e ferrosa, s’intromise: Andria ci stava baciando, e sentii il mare, il piacere che ti dà camminare coi piedi freddi e saltati sulla sabbia bollente.
Il libro è una perorazione per convincerci che non esiste una nozione di naturale, né per le società, né per le persone, si deve accettare l’idea che tutto sia prodotto dall’habitat, da noi, macchine desideranti.
Spatriati parla della fuoriuscita dalla Patria, intesa come convenzione, ma siccome nella rappresentazione di Desiati non v’è Patria, non v’è possibilità di fuga, non si può evadere dal Nulla, per cui Spatriati parla, implicitamente, dell’impossibilità di essere spatriati. La Natura e le sue leggi sono finzioni, neppure lo sviluppo di una pianta è Natura, almeno da quando l’Uomo vi sia intervenuto apportandovi la Storia.
Sì, proprio, se non esiste Patria non esistono neppure gli Spatriati, in fondo Letteratura è cercare qualcosa che non esiste e trovarla, perché la Parola l’ha generata ex nihilo.
SPATRIATI
Mario Desiati
Einaudi (Supercoralli)
pp. 288
euro 20
Recensione esemplare: attenta, colta, capace di mettere in vista trama, intreccio, tema, stile e tutti gli altri elementi che si combinano per formare un libro. Fornisce una vera guida alla lettura o alla non lettura sforzandosi di argomentare su dati “oggettivi” (per quanto possibile, dato che stiamo parlando di arte). Non promuove, non stronca: fornisce gli elementi a ciascuno per farsi un’opinione e capire se quel testo può essere o meno di suo interesse. Per quanto mi riguarda, probabilmente mi ha risparmiato una lettura che difficilmente mi sarebbe piaciuta. E non è cosa da poco, considerato quanto c’è al mondo da leggere e quanto poco tempo abbiamo a disposizione per farlo.
Grazie Maurizio, beh forse io non avrei esattamente sconsigliata la lettura, sebbene tu argomenti in virtù della presenza del vincolo del tempo e della mole di ciò che sarebbe irrinuciabile leggere: così posto il tuo suggerimento assume un’altra connotazione.
In ogni caso, grazie dell’interesse
Antonio