Virginia, dunque, è seduta in una poltrona dall’alto schienale al centro di una stanza piena di libri, di fotografie e di oggetti che stanno acquisendo a poco a poco lo statuto di reliquie per essere stati così covati dal suo sguardo, irrorati dal suo respiro. Pensosa, contempla la sua mano splendida; tiene una sigaretta, o forse un piccolo sigaro. Virginia non teme né il caldo né le ire dell’inverno – lei pensa.
Leggere le ultime righe di Virginia di Emmanuelle Favier (editore Guanda) è stato come guardare il sipario chiudersi a nascondere la scena e gli attori alla fine della rappresentazione. Non vorresti lasciarli andare, non vorresti lasciare andare Virginia verso l’icona Virginia Woolf e la sua nota fine. In questa parte della storia, Favier ci permette di essere gli osservatori dell’inizio del tutto e di limitarci solo a sottintendere il mostro agitarsi sotto la superficie delle acque. Gli anni di Ginia, Miss Jan sono descritti l’uno dopo l’altro come una sequenza di quadri teatrali, lasciando lo spettatore/lettore a volte in prima fila, a volte in piccionaia ma sempre legato alla protagonista anche quando i suoi pensieri si perdono nei primi deliri di quella malattia mentale che l’accompagnerà per tutta la vita. Continua a leggere