Talvolta la storia lascia prepotente le sue impronte più nella vita degli individui che nella società e nelle istituzioni, più tra le pagine di un romanzo che sui manuali.
La Sicilia a cavallo fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, descritta da Simonetta Agnello Hornby nel suo ultimo libro Caffè amaro ne è un esempio. Un romanzo del quale si apprezza soprattutto il meticoloso lavoro di ricerca e documentazione storica che ne precede la stesura e che si coglie subito alla lettura.
L’accadere storico non si limita a fare da cornice alla vicenda narrata, ma penetra all’interno dei suoi attori. A testimoniare il trascorrere del tempo non sono, tuttavia, solo i personaggi che si avvicendano, ma anche le cose. La narrazione si apre infatti con il rombo di un’automobile, l’Isotta Fraschini e si chiude con quello di una moto Guzzi Falcone.
Teatro della prima parte di questa storia è un paese dal nome fittizio di Camagni. Elemento, quest’ultimo, che ricorda il “marchio” Camilleri, autore dal quale l’autrice mutua anche la scelta d’inframmezzare il testo con termini dialettali.
Due famiglie, i Sala e i Marra, si uniscono per mezzo del matrimonio tra Pietro e Maria. Un matrimonio che non è frutto né dell’amore, né della violenza, in un’atmosfera di tenue e implicita costrizione, che come un sorso di caffè amaro può essere mandato giù senza troppa difficoltà. Un’unione capace di dispensare momenti di felicità ma che lascia dietro di sé una scia d’insoddisfazione. Continua a leggere