“Se questo è un uomo -un libro che reincontreremo al Giudizio Universale- offre un’immagine quasi lievemente attenuata dell’infamia, perché il testimone Levi racconta scrupolosamente ciò che ha visto di persona e, anziché calcare le tinte sullo sterminio come pure sarebbe stato logico e comprensibile, vi allude pudicamente, quasi per rispetto a chi è stato annientato dallo sterminio dal quale egli, in extremis, si è salvato”. Così il 12 aprile 1987, all’indomani della morte di Primo Levi, Claudio Magris sul Corriere della Sera ricorda lo scrittore piemontese. Oggi, le parole di Magris mi sembrano ancora le più adatte e le più belle per ricordare l’uomo e lo scrittore Primo Levi.
Se questo è un uomo è stato tradotto in tutto il mondo, ed è considerato un classico -non solo- della letteratura testimoniale, un libro per certi versi strano, che Levi stesso rispondendo a Philip Roth dice di aver scritto: “per tentare di spiegare agli altri, e a me stesso gli eventi in cui mi ero trovato coinvolto, ma senza particolari intenti letterari. Il mio modello (o se preferisci il mio stile) è stato quello del ‘rapportino settimanale’ che si usa fare in fabbrica: dev’essere preciso, conciso, e scritto in una lingua comprensibile a chiunque nella gerarchia aziendale”, quindi aperto a chiunque. Continua a leggere