Ha appena spento le candeline del suo ottantacinquesimo compleanno e ricevuto in dono un bracciale con inciso il suo nome quando, un’elegante signora svedese, pronuncia quelle parole che per molto tempo non ha mai osato dire: «Io non mi chiamo Miriam».
Miriam inclina il bracciale e vede l’incisione. […] “è un pezzo d’artigianato zingaro”, dice Thomas. “Rom, quindi”, precisa Camilla.
Miriam avverte un fremito dentro di sé e altri nomi vengono a galla nello spazio. Ecco Anuscha che ride, gli occhi scuri che scintillano mentre attraversa di corsa il cortile. Ecco il sorriso scavato di Else che si presenta con tanto di cognome, come se Miriam fosse qualcuno che merita una presentazione. Else Nielsen. Ecco una sorvegliante che solleva la frusta e urla. Mi chiamo Binz! Imparatelo una volta per tutte, perché non ho intenzione di ripetervelo! Ecco suo fratello che la fissa con un’ultima domanda nello sguardo. Perché hai quell’aria inorridita, Malika? Sono io, Didi, il tuo fratellino.
Tutto parte da qui. Miriam è Malika e Malika è stata una ragazzina rom nata e cresciuta in Germania.
Il romanzo, dopo questa verità, alterna una narrazione che riporta a galla un passato tormentato e doloroso, quello della piccola Miriam, con il presente, nel quale Miriam tenta di ripercorrere la sua storia raccontandola alla nipote Camilla. Continua a leggere