Raccontare una storia d’amore, un matrimonio, una vita e le sue difficoltà, una storia come tante. Ecco, Jenny Offill con Sembrava una felicità fa questo. In modo magistrale.
È un romanzo caratterizzato da una narrazione meticcia, fatta di una prosa diaristico-poetica sprigionata dai pensieri della protagonista che ci fa attraversare la sua esistenza balbettando parole sue che si mischiano a citazioni aperte e nascoste, mimetizzate in questa narrazione anomala e in apparenza disarticolata.
La protagonista è una donna ambiziosa che vuole diventare una scrittrice bravissima, e infatti: “il giorno in cui ho compiuto ventinove anni ho consegnato il mio primo libro. Se non mi sono ingannato…”. Ma poi le cose accadono, e stravolgono i piani, anche i meglio congegnati.
Il mio piano era di non sposarmi mai. No, io volevo diventare un mostro d’arte. Le donne non diventano mai mostri d’arte, perché i veri mostri d’arte si preoccupano solo d’arte e mai di cose terrene. Nabokov non si chiudeva nemmeno l’ombrello, era Vera che gli leccava i francobolli.
Incontra un uomo e si sposa e ha una figlia e finisce per tenere corsi di scrittura.
Alcune donne lo fanno sembrare così facile, quel modo di scrollarsi l’ambizione di dosso come se fosse un cappotto costoso che non va più bene