Il libro presenta tre parti: nella prima l’autore mette in scena il disagio psichico di una “normale” famiglia iper-allargata, (lui, Jack; lei, Babette) con figli eredità biologica di precedenti rapporti – scorie radioattive di passati non metabolizzati – e l’imperativo del consumo per sostenere il sistema: infatti, il titolo fa riferimento, in statistica, a una serie in cui ciascun valore è imprevedibile rispetto ai precedenti, il tutto è scorrelato; tale estraniamento in cui ogni cosa, ogni concetto, galleggia come una monade senza riferimenti con il resto, è prodotto dal consumismo e dalla tecnologia, a cui finiamo tutti per cedere le armi.
Comperavo con abbandono incurante. Comperavo per bisogni immediati ed eventualità remote. Comperavo per il piacere di farlo, guardando e toccando, esaminando merce che non avevo intenzione di acquistare ma che finivo per comperare. Mandavo i commessi a frugare nei campionari di tessuti e colori, in cerca di disegni esclusivi. Cominciai a crescere in valore e autoconsiderazione. Mi espansi, scoprii aspetti nuovi di me stesso, individuai una persona della cui esistenza mi ero dimenticato.
Per tutta la prima parte, il lettore veleggia tranquillo (o almeno crede) tra una lezione di Jack su Hitler, argomento nel quale è un’autorità, e un pomeriggio di jogging di Babette, la cui tendenza alla pinguedine è motivo di attrazione sessuale per gli uomini. Continua a leggere