Non ho la minima idea di come cominciare questa recensione. Sarà che questa storia è un cerchio perfetto: inizia nello stesso momento in cui finisce. E in mezzo c’è tutto il resto. E allora tu non sai bene se iniziare dall’inizio, dalla fine (che poi sono la stessa cosa, appunto), o da tutto-il-resto. Forse meglio lasciar perdere questi ragionamenti e scrivere qualche pensiero sparso, così come viene.
Quando la vita sembra procedere su un binario che non ammette deviazioni, è sempre il momento in cui, di solito, accade qualcosa. Bello o tragico che sia questo qualcosa, alla vita non importa. Le interessa solo dimostrarti che quel binario lì, che vedi tra i tuoi piedi quando guardi per terra, in realtà non esiste; che te lo faccia capire a colpi di orrore o di gioia, è ai suoi occhi (della vita, intendo) irrilevante.
Succede così anche in questo romanzo, quando l’esistenza di Anita Giunchi sta procedendo, senza scossoni, verso nulla. Anita, legata a un ragazzo di nome Otis che “fa l’artista”, ha da poco trovato un lavoro sicuro come segretaria in uno studio notarile rinomato, accantonando, forse per sempre, il sogno di fare l’insegnante:
A me far quel lavoro, mi sembrava di stare lì a compilare i giorni. Crocette a caso, però.