Come se dei tir attraversassero piazza Duomo a Milano, o dei carri armati percorressero Ponte Vecchio a Firenze, come se degli aerei atterrassero sugli Champs Élysées a Parigi o dei treni tagliassero in due piazza Navona a Roma.
Con queste similitudini viene definito, nell’opera di Roberto Ferrucci, il passaggio delle navi da crociera nella laguna di Venezia. Una laguna che, sottolinea l’autore, “non è mare”, e nella sua peculiarità andrebbe rispettata.
Il passaggio dei “mostri composti da tonnellate di acciaio” sullo sfondo di una delle città più belle del mondo diventa narrativa: a parlare infatti, prima che un giornalista che fa un’inchiesta, è un abitante che guarda a questo fenomeno con gli occhi lucidi e preoccupati di chi sente la propria casa in pericolo, trovando un alleato in un vecchio pescatore che, al passaggio di ogni mostro, dalla riva della laguna, deve riavvolgere in fretta il suo filo da pesca per proteggere la propria attrezzatura (o forse, come piace pensare all’autore, per “una timida forma di silenziosa protesta”).